Viva i cattivi delle fiabe!
A fasi alterne riemerge la critica alle fiabe tradizionali come quelle dei fratelli Grimm o di Hans Christian Andersen. Mi scrive Franca, mamma di un bambino e una bambina piccoli: «Ho letto di una famosa attrice italiana che contesta le fiabe tradizionali, sostenendo che molte di queste hanno temi troppo espliciti di cattiveria, incarnati ad esempio nella figura del lupo, oppure presentano, come nel caso di Biancaneve e Cenerentola, profili femminili che non esistono, o non dovrebbero più esistere, nella realtà. Ho sentito parlare di sessismo, di violazione dei diritti degli animali, di esaltazione della violenza… Sono in confusione e mi ha preso un po’ di ansia. Nel frattempo, ho sospeso la lettura sia di Cappuccetto Rosso che di Hänsel e Gretel a mio figlio di 3 anni e mezzo. Ho fatto bene?».
Le storie di una volta contengono alcuni archetipi fondamentali. Se ogni generazione rivede i valori tradizionali e si costruisce i suoi, non per questo deve abolire il classico: né i filosofi greci, né la fiaba di Biancaneve. Né tantomeno le grandi narrazioni religiose. Il germe della misoginia non si trova in Cenerentola o nella Bella addormentata nel bosco, ma più che altro nella pornografia sul web. Quella che ragazzini appena adolescenti, ma la soglia di consumo si sta abbassando vertiginosamente, frequentano senza alcun controllo.
Davvero vogliamo togliere il lupo dalla fiaba di Cappuccetto Rosso? E come sarebbe Pinocchio senza il personaggio di Mangiafuoco? In altre parole, la correttezza non appartiene al mondo delle favole, un luogo simbolico dove l’iperbole, la metafora e l’esagerazione sono necessarie. E i piccoli ne beneficiano. Eliminare il cattivo è assurdo da ogni punto di vista, perché le zone d’ombra appartengono a tutti i bambini, l’aggressività che non viene espressa nella realtà trova rappresentanza nell’ascolto e nel racconto delle fiabe. Certamente occorre tenere conto dell’età dei più piccoli: sotto i 3 anni meglio non farlo. Potrebbero prendere troppo sul serio le storie, finendo con lo spaventarsi.
Penso che sia sbagliato anche cercare di orientare il gioco spontaneo, che è una rielaborazione del mondo adulto: un rito di ricomposizione psicoevolutiva interna, terapeutico e fondamentale, che aiuta i bambini a metabolizzare sul piano neurosimbolico quello di cui fanno esperienza. I bimbi amano scherzare con le parole, usandole anche fuori contesto. Il loro modo di esprimersi va rispettato. Vivono nel mondo immaginario quello che non possono, o non vogliono, affrontare nella realtà. La bambina che fa la mamma esorcizza anche il rapporto con la mamma stessa. Il bambino che gioca ai soldatini sta scaricando la propria aggressività. Deve preoccupare il ragazzino dipendente dai videogiochi sparatutto perché è eterodiretto, non il bambino che, con le sue mani, fa scontrare omini, macchinine o supereroi. Il linguaggio infantile non va preso alla lettera. Le fiabe e i giochi dei bambini appartengono alla natura profonda delle loro emozioni. Giudicare con categorie adulte li mortifica e ci impedisce di ascoltarli davvero.
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