Il mistero dell’altro
«In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando» (Mc 6, 1-6).
Nel paese della provincia di Treviso in cui abito, mio padre è molto conosciuto perché gestiva un negozio di alimentari in centro. Fin da piccolo, dunque, per me era normale essere identificato come il figlio di Mosè (il nome di mio padre), alcuni compaesani arrivavano a chiamarmi, probabilmente non ricordando il mio nome, «Mosè Junior». Fortunatamente la gente aveva una buona opinione di mio padre, quindi la cosa non mi ha procurato particolari problemi. Tuttavia non è stato facile, in paese, uscire dagli schemi mentali precostituiti e potermi mostrare come distinto e diverso dalla mia famiglia d’origine.
Tutti noi tendiamo a catalogare la realtà e quindi anche le persone: tu sei una brava persona, quell’altro invece è un poco di buono, tu sei affidabile, a quell’altro invece non affiderei mai nulla. Questo istinto tassonomico è inscritto evoluzionisticamente in noi, e ci ha permesso di distinguere e apprendere più velocemente come agire nella realtà. Ad esempio, sapere quali frutti vanno nella categoria commestibili e quali frutti vanno nella categoria velenosi può essere molto funzionale alla sopravvivenza. Il difetto di questo istinto tassonomico, però, è che funziona molto bene con le realtà statiche e semplici (uno scorpione resta in modo permanente un animale da cui tenersi alla larga), ma può essere di ostacolo con le realtà complesse e dinamiche (un delinquente può diventare un santo, come racconta la vicenda di Jacques Fesch).
Anche Gesù si trovò a subire i pregiudizi e i preconcetti dei suoi compaesani. Venne ingabbiato nei loro schemi mentali: sei figlio di un falegname e sei anche tu un falegname, non può essere che tu possegga una sapienza straordinaria, qualcosa non torna, non mi posso fidare.
Quante volte anche nella relazione di coppia ci costruiamo i nostri giudizi sul partner e poi questi divengono metro con cui misuriamo la complessità dell’altro! Un particolare diventa un assoluto che cristallizza l’altra persona. Mi dimentico di fare una commissione e divento un inaffidabile, in una discussione perdo la pazienza e divento un irascibile, ti muovo una critica e divento un lamentoso. Quante coppie ho visto spararsi addosso giudizi ormai fossilizzati nel tempo, in cui i fatti che li avevano generati risalivano ad anni prima.
È interessante notare che Gesù, lì dove ha subito il pregiudizio, non ha potuto compiere nessun prodigio. Avrebbe probabilmente voluto, ma gli era impedito da questa idea congelata che si erano fatti di lui. I giudizi e i pregiudizi, dunque, ostacolano il compiersi del bene. Anche i nostri pregiudizi, su nostro marito o nostra moglie, impediscono all’altra persona di operare prodigi. Impediscono al partner di compiere azioni fuori dall’ordinario, di stupirci, di meravigliarci, perché l’etichetta che gli abbiamo appiccicato lo soffoca, lo appesantisce e, soprattutto, ci impedisce di vedere la promettente bellezza che abita in lui.
Il pregiudizio crea una «visione tunnel» che orienta il nostro sguardo alla ricerca degli elementi confermanti la nostra etichetta e ci rende ciechi a tutto ciò che la falsifica e la mette in discussione. Possiamo però lavare i nostri occhi, imparare a cogliere il buono di nostro marito o nostra moglie. Proviamo a guardare una cosa per volta, senza generalizzare, ma sapendo distinguere un episodio da un altro. Proviamo a capire in profondità quali sono state le dinamiche emotive, le paure, i bisogni che hanno portato a quello specifico comportamento.
Investiamo del tempo di coppia per parlarci a cuore aperto e potremmo scoprire che c’è un mondo immenso dentro di noi e dentro all’altra persona. Allora il nostro e altrui sguardo potrà essere purificato e potremo tornare a compiere prodigi. Lasciamoci stupire dalla vita, non chiudiamola nei cassetti delle categorie, restiamo aperti al mistero della persona che sta accanto a noi.
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