Vita in barca a Londra
C’è un fenomeno comune a molte grandi città europee, ma che appare ancora più evidente nella Londra post-Brexit e pandemia: la fuga dalla città. Si sta verificando una progressiva «espulsione» dalla capitale di individui e famiglie. Un flusso inarrestabile verso le periferie urbane o i centri più piccoli. Accade quando il costo della casa diventa insostenibile, sia per chi vive in affitto sia per chi la vorrebbe acquistare. E avere una occupazione stabile non è più una condizione sufficiente per abitare in città.
Il carovita innescato dalla situazione internazionale e la ripartenza dell’economia dopo la pausa del Covid, hanno messo profondamente in crisi il comparto abitativo. I costi della casa, per molti, sono diventati insostenibili o sono arrivati a incidere a tal punto sul bilancio familiare da costringere a pensare ad alternative più vivibili. Secondo una recente ricerca del quotidiano britannico «Evening Standard», a Londra gli affitti sono aumentati di un terzo dalla pandemia; e se il guadagno medio per famiglia si aggira sulle 3.066 sterline al mese, questo significa che buona parte delle entrate sono assorbite dall’affitto. A chi specula e si arricchisce in questo mercato si aggiungono le complesse contingenze storiche ed economiche del momento. A pagare maggiormente il prezzo di questa crisi sono i giovani, le famiglie con figli, gli anziani spinti ai limiti geografici della città in cerca di una casa da potersi permettere.
Spostarsi significa, di conseguenza, lasciarsi dietro la comunità e la rete di amicizie costruite nel tempo, oltreché il lavoro e, per i bambini, la scuola. Secondo l’agenzia immobiliare Winkworth, un 20% di affittuari si sono trasferiti da Londra a città meno costose come Reading, Newbury e Northampton. Un movimento iniziato durante la pandemia, ma che continua in un trend incessante. Per non parlare dei tanti europei ritornati ai Paesi d’origine in conseguenza della Brexit. Viene da chiedersi, allora, se sia ancora valido il proverbio medievale che diceva che l’aria della città rende liberi. Potremmo dire che lo fa nella misura in cui si guadagna proporzionalmente tanto per pagare per questa libertà che, come tutti sappiamo, più gravita attorno all’ombelico della città, più costa caro. Al punto che si è costretti a fare di necessità virtù arrivando anche a inventarsi nuovi modi di abitare.
Pendolari, custodi e artisti
Per chi non vuole spostarsi a vivere nei suburbs, con le ovvie ripercussioni sullo stile di vita, fatto di lunghi e a volte penosi commuting (pendolarismi) verso il centro, o di isolamento sociale, rimane lo sharing ovvero la condivisione di una casa dove si occupa solo una stanza. Stupisce, eppure questa alternativa rimane ancora una delle più richieste, anche dagli over 40. Ma si è pensato anche a forme più creative ed economiche. Ci sono altri modi di abitare: c’è chi ha deciso di vivere nei container per le spedizioni, trasformati in case-contenitori pagando una cifra irrisoria di affitto; chi invece diventa «guardiano» di una proprietà con la possibilità di usarla, in cambio, come abitazione. O si può vivere nei vecchi magazzini industriali riconvertiti in abitazioni-studio dai prezzi accessibili, e che attirano soprattutto gli artisti. Di conseguenza, si creano comunità alternative, una sorta di comuni moderne, come quella di Manor House Warehouses, diventata una realtà iconica e vitale di Londra.
Narrowboats sull’acqua
Molti si sono spostati sull’acqua vivendo nelle narrowboats, le barche strette ormeggiate nei canali. Di houseboats se ne contano circa 4.200, una cifra raddoppiata rispetto a dieci anni fa. Non più larghe di un letto matrimoniale e lunghe il giusto per adattarsi all’immensa rete fluviale londinese che si irradia per 160 chilometri in tutta la capitale, le narrowboats sono diventate una scelta abitativa molto popolare negli ultimi anni, di pari passo con la crisi delle case. Ce lo conferma Benedetta Turlon, 39 anni, originaria di Padova con un master in Curating alla UAL (University of the Arts London), che nella capitale inglese lavora in una galleria d’arte e che, da alcuni anni, è proprietaria di una casa galleggiante. Come per altri, comprare una barca si è rivelata l’unica opzione per permettersi di restare a Londra. «Quando sono tornata in città nel 2022 dopo una pausa in Italia – racconta Benedetta –, avevo iniziato a guardare i prezzi del mattone, ma non c’era la minima possibilità che io potessi comprare da sola, considerati i miei risparmi. Così ho iniziato a studiare un po’ il mondo nomade, e a contattare i venditori di case-barche».
Tuttavia, vivere in barca, per quanto sia affascinante e avventuroso, comporta anche uno spirito di adattamento non indifferente. «O si ama questa vita o è meglio lasciar perdere – aggiunge Benedetta –, poiché non è una vita per i deboli di cuore». La giovane ci racconta, infatti, che se serve una qualche riparazione, questa realtà non è organizzata per risolvere i problemi tecnici velocemente, così bisogna improvvisarsi carpentieri, falegnami, elettricisti, ecc. a seconda delle necessità. Con un lavoro a tempo pieno in una galleria d’arte, combinato con una licenza di navigazione costante (Benedetta deve spostarsi ogni due settimane verso un nuovo ormeggio per pagare una licenza agevolata), non può permettersi di essere negligente o pigra. «Ma la barca è mia, e i soldi che non se ne vanno in affitto sono spesi in cose per me stessa» conclude con una nota d’orgoglio, confermando di essere felice della sua scelta di vita.
Il tema della casa rimane comunque uno dei problemi più sentiti nella metropoli inglese. Non per niente è stato il cavallo di battaglia di tanti partiti nell’ultima campagna elettorale. Chissà se Sadik Khan, rieletto recentemente, per la terza volta, sindaco di Londra, manterrà la promessa di consegnare 6 mila nuove abitazioni in affitto, con pigioni proporzionali agli stipendi locali. Non ci resta che aspettare.
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