La «scopritrice» di santi

In dialogo con suor Albarosa Bassani, prima consultore storico, poi postulatrice e oggi consultore teologo per il Dicastero delle Cause dei Santi. Una delle poche donne a operare in tale contesto.
26 Febbraio 2025 | di

«Il mio sogno di ragazza era sposarmi e avere tanti figli». Invece, suor Albarosa Ines Bassani, 78 anni, vicentina, prima storica, poi postulatrice e oggi consultore teologo del Dicastero delle Cause dei Santi, di «figli» ne ha avuto solo uno. «Lo sento come una mia creatura anche se l’ho conosciuto… da padre». La «creatura» è Giovanni Antonio Farina, vescovo di Treviso e poi di Vicenza, fondatore della congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea-Figlie dei Sacri Cuori, a cui suor Albarosa appartiene. Si deve a lei se il Farina ha raggiunto gli onori degli altari. Dichiarato beato il 4 novembre 2001, è stato poi canonizzato da papa Francesco il 23 novembre 2014. Rigorosa, puntigliosa come solo una laureata in materie scientifiche (Scienze naturali all’Università di Parma) può essere, suor Albarosa ha dedicato trent’anni della sua vita a ripercorrere tutta quella del suo fondatore, anche confutando le maldicenze sul suo pensiero politico. «L’ho tolto dal fango e adesso è nella luce. Con la libertà del cuore di non sentirlo come proprietà. Sono felice della possibilità che altri scrivano di lui».

Msa. Come si è accostata allo studio del Farina?

Bassani. Ho sempre avuto la passione per le grafie complicate. Il Farina scriveva in maniera quasi incomprensibile. Una consorella ci mostrò le sue lettere. Le chiesi se potevo tenerle per studiarle. Cominciai a leggerle e a trascriverle. E poi a capire a chi erano rivolte, a scoprirne la datazione. Mi appassionai talmente tanto alla ricerca storica, che divenni un’assidua frequentatrice dell’Archivio segreto vaticano, dove ho poi conseguito il diploma in Archivistica. Lì incontrai lo storico Gabriele De Rosa, che mi aiutò a far cadere tutte le polemiche che avevano circondato la figura del Farina. Tolti di mezzo gli ostacoli, riuscii a portare a termine la Positio (documento usato nel processo per la canonizzazione, che ricostruisce la biografia e la fama di santità del personaggio di cui ci si sta occupando, ndr). Un lavoro prezioso di oltre duemila pagine – ancora oggi mi dicono che è stata una delle migliori mai scritte –, che mi ha aperto le porte del Vaticano. A tutt’oggi ne ho esaminate 121.

Qual è l’iter per le cause?

Innanzitutto va spiegato che si tratta di veri e propri processi, con udienze, prove, avvocati, testimoni, giudici. Alla morte di una determinata figura, i fedeli cominciano a pregarla. La devozione parte da chi ha vissuto con la persona e quindi ne può cogliere la fama di santità. Ma bisogna aspettare cinque anni per poter istruire la causa. Perché l’entusiasmo iniziale potrebbe anche scemare. Se dopo cinque anni la devozione perdura, allora la diocesi può procedere alla raccolta delle prove. Chi raccoglie, si chiama attore. Mentre l’avvocato di parte, nominato dal vescovo, si chiama postulatore. Deve avere preparazione teologico-canonica, perché tocca a lui condurre indagini approfondite sulla vita del candidato. Chiusa l’inchiesta in maniera positiva, gli atti vengono inviati in Vaticano, dove vengono esaminati dal punto di vista storico e teologico e vengono poi sottoposti al giudizio del collegio dei cardinali. A questo punto, la causa passa al Papa, che è il giudice finale. Con il suo assenso, il candidato è riconosciuto Servo di Dio è, cioè, Venerabile. Serve, poi, un miracolo per la beatificazione e un altro per la canonizzazione.

Che cosa si intende con «fama di santità»?

Non è solo ammirazione, è qualcosa di più profondo. La gente è certa che quella persona è già vicina a Dio, e lo prega come intercessore. 

Papa Benedetto, nel 2012, la nomina consultore storico delle cause dei Santi, con il compito di occuparsi anche dei miracoli. Lei è una donna di scienze. Come si pone davanti a un fatto inspiegabile?

Innanzitutto, poiché nella maggior parte dei casi i miracoli riguardano guarigioni da malattie, la prima valutazione è dei medici, i migliori luminari al mondo, senza preclusione di confessione. Decretano che la persona è guarita in maniera scientificamente inspiegabile: «La letteratura scientifica non conosce un caso simile», scrivono qualche volta. Davanti al loro giudizio, ogni volta mi converto. Un signore, con un nervo ottico completamente leso e l’altro danneggiato, quindi quasi cieco. Tormentato dal dolore, pregò la madre Teresa del Brasile. Le chiese di poter dormire almeno cinque minuti. Si addormentò. La moglie gli mise una coppetta d’acqua sul comodino e uscì. Lui si svegliò, si girò verso il comodino e vide la coppetta. La vedeva. Quando la moglie poi rientrò, lui la vide per la prima volta, e le disse: «Sapevo che eri bella». E qui, venendo a conoscenza della sua storia, mi sono commossa. I medici hanno dichiarato che il nervo è leso, morto, ma lui vede. È una «mazzata di fede» ogni volta.

Che cosa prevede invece il suo compito?

A volte devo analizzare la parte storica, a volte quella teologica. Parto sempre dall’essere scettica. Per verificare l’attendibilità delle prove, procedo con rigore scientifico, ma sempre tenendo conto del fatto che mi sto muovendo anche in un ambito spirituale. Ci sono dei criteri. Uno riguarda l’univocità dell’invocazione. La persona malata ha pregato solo quella figura. E ci dev’essere una consequenzialità tra preghiera e fatto prodigioso. Lo studio mi permette di dissipare i dubbi, e quindi elaboro la mia opinione. Tutto questo è coperto da segreto. Non poter dire nulla è un po’ una sofferenza. Ma quando viene dichiarata la beatificazione o la canonizzazione, gioisco dentro.

Nonostante papa Francesco abbia dato ruoli di governo anche alle donne, l’ambiente in cui lei opera resta maschile. Come si trova?

All’inizio non è stato facile. Ma oggi mi trovo molto a mio agio. C’è grande rispetto delle competenze e delle idee altrui. Non si obietta mai al parere degli altri, si porta il proprio sulla base del proprio lavoro di ricerca.

Ci sono stati casi di respingimenti?

Sì, qualche martire. Il martire è colui che ha dato la vita per Cristo. È stato ucciso in odium fidei da un persecutore. Oggi però sempre meno il persecutore dichiara apertamente l’odio contro la fede. L’omicidio viene mascherato da motivazioni politiche o contesti di conflitti. Perciò è più difficile da provare.

Che cosa voleva fare «da grande»?

Se non mi fossi fatta suora, avrei studiato Lettere. E anche se il mio percorso è stato scientifico, non ho mai smesso di interessarmi alle materie letterarie. Infatti, sono stata nominata presidente dell’Accademia Olimpica di Vicenza, per la Classe di Lettere e arti. Oggi posso dire che la mia vita è andata meglio di come me l’ero immaginata. In ogni sfida ho messo tutta me stessa. Lo dico sempre alle giovani: «Fate volentieri quello che fate, fatelo con tutta l’anima, ne avrete soddisfazione». La voce dominante è la ricchezza di doni che ho ricevuto. Ho potuto studiare e viaggiare. Ho fatto esperienza di un Dio che mi ha sempre accompagnata e sovraccaricata di regali.

Alla vocazione com’è arrivata?

Studiavo all’Istituto Farina. Ero affascinata dalle mie insegnanti, che riuscivano a leggermi dentro. Pensavo che avrei voluto essere come loro. Alla fine di ogni anno, noi studentesse preparavamo una rappresentazione teatrale. Assistendo a un musical su santa Dorotea, ho cominciato a interrogarmi. Mi colpì la vita di questa martire, totalmente devota al suo «sposo celeste». Tanto che, pensando all’incontro con Lui, accolse con il sorriso la sentenza di morte per decapitazione. Io avevo già i miei progetti, ma lì qualcosa ha cominciato a disturbarmi, a rodermi dentro. Pur di tornare a stare in pace, ho detto «sì».

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Data di aggiornamento: 26 Febbraio 2025
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