Comunicare la Buona Notizia
Missione: una parola che ci fa pensare all’impegno di tante persone in Paesi lontani per sostenere e aiutarne la crescita. La missione cristiana, però, è qualcosa di più: non offre solo un aiuto sociale e umanitario, ma ha nel cuore l’annuncio del Vangelo, rivolto a tutti, ai vicini e ai lontani. Ed è compito di ogni cristiano, non solo dei missionari o di preti e suore. Quindi, la questione principale, che ci riguarda tutti, è come annunciare il Vangelo oggi, come comunicare la Buona Notizia.
Il mondo odierno ci mette a disposizione dei canali di comunicazione molto rapidi ed efficienti: lo scambio di messaggi e contenuti è diventato pressoché immediato. Ma comunicare non è solo un trasferimento di informazioni o di notizie: comunicare è entrare in relazione, costruire un rapporto. Senza questo si rimane a un livello informativo, che non è capace di cambiare la vita: non è solo questione di idee, ma richiede realtà e concretezza. Ciò è importante, soprattutto quando si parla dell’annuncio del Vangelo, che non è una serie di concetti, ma l’incontro con una persona viva, Gesù Cristo.
In che modo si realizza questo? Un esempio lo troviamo nell’esperienza e nella testimonianza dei nostri santi. Francesco d’Assisi è missionario presso il Sultano, durante la quinta crociata: il suo desiderio è quello di ottenere la conversione dei saraceni, ma trova risoluta opposizione. Eppure, il Sultano, vedendo quest’uomo che non si piega né con le minacce e i maltrattamenti né con la proposta di onori e di ricchezze, ne rimane stupito e, commosso dalle sue parole, lo ascolta assai volentieri (cfr. Vita Prima di Tommaso da Celano, cap. XX, FF 422). Anche se la conversione non si realizza, un seme è stato gettato: non è un concetto o un’idea, ma una relazione che parte da un incontro.
Negli stessi anni, un giovane prete, Fernando di Lisbona, rimane colpito dall’incontro con alcuni frati minori, poveri di beni, ma pieni di ardore per il Vangelo al punto di volerlo annunciare in Marocco, tra i non cristiani; qualche mese dopo, alla notizia del loro martirio, Fernando abbraccia l’abito francescano, diventando frate Antonio. È l’incontro con la concretezza di una vita vissuta per il Vangelo che comunica, che diventa annuncio. Per questo, lo stesso Francesco, nel dare indicazioni su come andare tra i non cristiani, esorta i frati affinché «non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani», e poi «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio» (cfr. Regola non Bollata, cap. XVI, FF 43). È lo stile che anzitutto comunica il Vangelo.
Anche oggi, molte presenze cristiane nel mondo sono nascoste, non possono annunciare a parole, perché rischiano la vita; eppure non desistono, soprattutto perché sono sostegno prezioso agli ultimi e agli emarginati, che senza di loro sarebbero perduti: il Vangelo è anzitutto per i poveri. Questa è la Chiesa del silenzio, che parla attraverso la presenza e la carità, vissute a partire da un legame forte con Cristo. In apparenza sembra non cambiare nulla, ma segue la dinamica del seme: pare insignificante, ma può diventare, in modo inaspettato, una grande pianta e portare molto frutto (cfr. Mc 4,26-32). Ma anche in luoghi in cui il Vangelo può essere annunciato con libertà non è facile dare spazio a questo messaggio: le comodità, la tendenza all’individualismo e la ricerca del proprio interesse, la mancanza della capacità di sognare soffocano la Buona Notizia. Che cosa si può fare? Difficile fornire una ricetta; di certo, il cuore della missione è la cura della vita spirituale, cioè della relazione viva con il Signore, sia a livello personale che comunitario.
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