Natale di speranza
Il Natale è un evento di speranza che ben si inserisce nel percorso giubilare. In questo dossier ci viene proposto un percorso con spunti artistici (i capolavori di Altichiero da Zevio, presenti nell’Oratorio di San Giorgio, presso la Basilica del Santo) e poetici, focalizzato sui protagonisti del Natale, per riscoprirci anche noi pellegrini di speranza.
Maria
Possiamo intuire che cos’è la speranza se pensiamo di essere pellegrini in questa vita e non semplici viandanti senza meta. Il Natale custodisce il germe della speranza, del mistero e della luce di Dio che vuole incontrare l’uomo: questo è capace di orientare tutta la nostra vita.
Di tutte le virtù, la speranza è quella più importante per la vita. Perché, senza di essa, chi oserebbe iniziare una qualsiasi attività, intraprendere una qualsiasi impresa? Guardando al Natale e ai suoi protagonisti, chi più di Maria può essere per noi stella di speranza? Nessuno se non lei perché con il suo «sì» aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo.
Maria è esempio per tutti noi di donna docile alla voce dello Spirito, di donna del silenzio e dell’ascolto, di donna di speranza, che seppe accogliere, come Abramo, la volontà di Dio «sperando contro ogni speranza». Il sì di Maria ha reso possibile la nascita del Figlio di Dio… ma quel sì non è stato facile nemmeno per lei. Pensiamo al suo turbamento davanti alle parole dell’angelo, alla difficoltà nell’affrontare il giudizio della società di allora e alle circostanze drammatiche in cui è venuto al mondo Gesù: il viaggio verso Betlemme per il censimento proprio alla fine della gravidanza, l’aver trovato rifugio in una stalla, l’aver partorito senza assistenza e lontano da casa. Emerge tutta la fragilità della vita umana: paura, dolore, difficoltà e isolamento. In questa situazione, la figura di Maria illumina un cammino pieno di asperità. Solo con pazienza, accettazione, obbedienza, fede e preghiera, mettendo da parte il nostro io, come ha fatto Maria, si può trasformare il dolore in gioia.
Sembra che il Vangelo voglia suggerirci un segreto: l’unico modo per dare un senso nella nostra vita è accogliere l’esistenza così com’è, facendo spazio agli eventi, anche quando ci spaventano o ci gettano in confusione. Maria ha una fiducia in Dio che è più grande della difficoltà di diventare Madre del Figlio di Dio. Ma è in questo abbandono fiducioso che si trova la salvezza anche per noi oggi.
Voi che credete
voi che sperate
correte su tutte le strade, le piazze
a svelare il grande segreto…
Andate a dire ai quattro venti
che la notte passa
che tutto ha un senso
che le guerre finiscono
che la storia ha uno sbocco
che l’amore alla fine vincerà l’oblio
e la vita sconfiggerà la morte.
Voi che l’avete intuito per grazia
continuate il cammino
spargete la vostra gioia
continuate a dire
che la speranza non ha confini
(David Maria Turoldo, Sulle tracce della speranza)
Giuseppe
Quante domande ci sorgono oggi: perché la guerra? perché il male? Qual è il senso di tante cose che ci capitano, non necessariamente solo dolorose, ma anche belle e gioiose? E quante domande si sarà fatto san Giuseppe di fronte a quella gravidanza, allo stesso tempo anomala ed eccezionale, e alle tante difficoltà e imprevisti legati alla nascita di Gesù? Di fronte al mistero di Dio che irrompe nella vita, si sarà domandato: tra tutti gli uomini del mondo, perché proprio a me? Ce la faremo Maria e io? Sarò in grado di essere un buon padre per un bimbo così speciale?
Tutte domande legittime che ognuno di noi si sarebbe posto e che ancora ci poniamo davanti a un figlio che nasce, davanti alla paura di un futuro incerto o quando ci capitano situazioni che creano smarrimento, dubbi, timore e ansie. Di fronte a tutta questa confusione e incomprensione, due sono le strade che si possono prendere: o lo sconforto, la ribellione, il rifiutare che la propria vita sia sconvolta da eventi non voluti; oppure… sperare, affidarsi a Dio, confidare in Lui: ciò che ha fatto Giuseppe.
La capacità di sperare, di lottare per una meta senza abbandonarsi allo sconforto o alla disperazione, la capacità di tenere sempre lo sguardo rivolto al futuro sono fondamentali per riuscire in qualsiasi impresa nella vita, nel lavoro, in un progetto o in una passione che coltiviamo. Sono indispensabili per lo sportivo, il musicista, il politico, lo scienziato, per una giovane coppia che desidera farsi una famiglia, un giovane, un anziano, per chiunque voglia costruire, inventare, rischiare, sfidare, superare una barriera o cercare un cambiamento.
Pur nella sua concezione laica del mondo, anche un poeta anticonformista come Charles Bukowski afferma un concetto simile nella sua poesia Il cuore che ride.
La tua vita è la tua vita.
Non lasciare che le batoste la sbattano nella cantina dell’arrendevolezza.
Stai in guardia.
Ci sono delle uscite.
Da qualche parte c’è luce.
Forse non sarà una gran luce ma la vince sulle tenebre.
Stai in guardia.
Gli dei ti offriranno delle occasioni.
Riconoscile, afferrale.
Non puoi sconfiggere la morte ma puoi sconfiggere la morte in vita,
qualche volta.
E più impari a farlo di frequente, più luce ci sarà.
La tua vita è la tua vita.
Sappilo finché ce l’hai.
Tu sei meraviglioso
gli dei aspettano di compiacersi in te.
(C. Bukowski, Il cuore che ride)
La speranza è per tutti! Per il credente, essa trova fondamento su Dio, è «speranza certa», come pregava san Francesco. Non bisogna, tuttavia, confondere la speranza con l’ottimismo ingenuo e infantile, che vede tutto facile e roseo. Chi ha speranza conosce bene il pericolo e lo teme, ma cerca con tenacia e intelligenza il modo per affrontarlo e superarlo. Tutto questo ci insegna san Giuseppe!
I pastori
L’evangelista Luca racconta che un angelo appare ai pastori e annuncia loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Colpisce che l’angelo parli di un segno, di qualcosa che non è immediato, che bisogna saper interpretare. Del resto, come si può riconoscere il Salvatore vedendo un bambino che giace non in una culla, ma in una mangiatoia, in una grotta, costretto a un viaggio forzato con i suoi genitori? Come si può vedere la potenza di un Dio che salva se si manifesta nell’emarginazione, nella povertà, se sceglie i perdenti? Questo è il paradosso del Natale, che è sempre inquietante anche per noi.
I pastori sono una categoria marginale, povera e fastidiosa per le persone perbene, eppure senza di loro il presepe non si potrebbe costruire. Guardare il bambino, come hanno fatto i pastori, è avvertire la fiducia che il suo sorriso trasmette, è intravvedere nel futuro possibilità nuove. Ma è anche lasciarsi provocare dalle fragilità e dalle povertà, con una sensibilità capace di accettare il dolore, senza rabbia ma con compassione. Il Natale è educazione del cuore, l’unico linguaggio di pace che può liberarci dall’arroganza e dall’indifferenza.
Ora lasciamo risuonare le parole di Pablo Neruda che, nella sua poesia Speranza, sembra dar voce all’esperienza e alle emozioni sperimentate dai pastori in quella notte santa, che ha visto l’Amore incarnato venire al mondo.
Ti saluto, Speranza, tu che vieni da lontano
inonda col tuo canto i tristi cuori.
Tu che dai nuove ali ai sogni vecchi.
Tu che riempi l’anima di bianche illusioni.
Ti saluto, Speranza, forgerai i sogni
in quelle deserte, disilluse vite
in cui fuggì la possibilità di un futuro sorridente,
ed in quelle che sanguinano le recenti ferite.
Al tuo soffio divino fuggiranno i dolori
quale timido stormo sprovvisto di nido,
ed un’aurora radiante coi suoi bei colori
annuncerà alle anime che l’amore è venuto.
(P. Neruda, Speranza)
Il Bambino
Contemplare il presepe è contemplare il Dio bambino. Il mistero del Natale è il mistero di imparare a tenere in braccio l’Infinito. Quel bambino, infatti, non è solo un sopravvissuto a un parto di fortuna, in una notte dove nessuno ha aperto la propria casa per fare spazio a una famiglia in difficoltà. Quel bambino non è un semplice scampato, ma è il motivo stesso della vita, di ogni vita prima e dopo di Lui.
Guardare il presepe significa trovare la forza di prendere il nostro posto nella storia senza lamentarci, senza chiuderci o evadere dalla realtà, senza cercare scorciatoie che ci privilegino. Contemplare il presepe esige audacia e speranza, come pure la rinuncia al protagonismo o a lotte interminabili per apparire.
Nei volti di Giuseppe e di Maria incontriamo volti carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande; volti che guardano avanti con il compito non facile di aiutare il Dio-Bambino a crescere. Siamo invitati anche noi a non essere come il locandiere di Betlemme, che davanti alla giovane coppia diceva: qui non c’è posto… non c’era posto per la vita, non c’era posto per il futuro. Invece a noi viene chiesto ora di prenderci l’impegno di aiutare chi abbiamo accanto, di rimanere nel presente e di viverlo a fondo nella vita di ogni giorno. Anche questo è vivere la speranza, e della speranza abbiamo bisogno adesso.
Prima della libertà e dell’amore c’è la speranza.
L’idea che le cose possano migliorare.
Che tutto possa andare bene.
Il potere della speranza ci libera dalle catene
della disperazione e della sofferenza.
Come una mano che ci guida sulla via,
ci fa sollevare il mento
e ci indica qualcosa
che avevamo guardato fino a questo momento.
Ci chiede di vedere di più.
Quando lo facciamo,
ci diamo la possibilità di vivere con amore
e di amare la vita.
(R. Bandler, La speranza)
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