«Parti intere del mondo si svuotano, di uomini, di rumori, di vita. Percorro squarci sterminati di Africa e di Medio Oriente e scorgo soltanto deserti e sterpaglie». Inizia così l’ultimo lavoro di Domenico Quirico, inviato de «La Stampa». Una cronaca, attenta e fedele, dei tanti viaggi fatti in compagnia dei migranti.
È trascorso ormai più di un mese da quel terribile 22 marzo in cui trentadue persone persero la vita nel corso di due attentati che a distanza di poche ore seminarono il terrore nella capitale belga. Ancora oggi cercare di rileggere a mente più fredda quei fatti non è semplice.
Era il 29 aprile 1986. La primavera ci stava regalando giornate soleggiate che avevano già dissipato tutti gli umori dell’inverno. Quel giorno eravamo in gita scolastica a Legnaro, alle porte di Padova, in visita al centro ricerche dell’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare.
La sala è gremita e il silenzio è di cristallo. In fondo ai gradoni dell’auditorium due donne attendono di parlare. Sta accadendo un evento che fino a ieri si poteva considerare impossibile, inaccettabile, quasi sacrilego.
Furono oltre millecento i militari italiani caduti «per mano amica». L’eufemismo non basta a cancellare la tragicità della vicenda di soldati condannati, spesso dopo processi sommari, e fucilati durante il primo conflitto mondiale.