La morte assomiglia alla notte, quella che alla fine di ogni giornata ci accoglie e ci dona il sonno e pure il sogno. Quella al cui termine c’è, immancabile, l’alba.
Il primo, ma anche l’ultimo respiro. Quello dei bambini nati morti che un’antica tradizione voleva venissero portati dinanzi all’altare della Madonna, nella chiesa di Casez, in Trentino, per essere battezzati.
Sorella morte, come la invocavano san Francesco e sant’Antonio, non ci spalanca il vuoto, ma l’eternità, dove presenza e assenza sono solo due modi complementari di stare tutti insieme tra le braccia di Dio.
Una lettrice confida la drammatica esperienza della perdita di un figlio. E l'impossibilità di immaginare ora un futuro degno di questo nome per sé e la propria famiglia.
Magari ci fossero più e migliori specialisti dell’ascolto, dell’assistenza, del sociale! Ma ciò che auspico è il ritorno alla responsabilità dei «non specialisti». Se poi portiamo tutto ciò sul piano cristiano, siamo fritti…