Amici con i propri figli?

Diventare amici dei propri figli non è la strada giusta. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di trovare nei genitori dei punti di riferimento. Gli amici hanno un altro ruolo, non dimentichiamolo mai.
22 Novembre 2022 | di

Nelle serate per genitori a volte faccio questa domanda: «Vi capita mai di urlare con i vostri figli?». Ad alzata di mano ottengo una risposta positiva plebiscitaria. Poi pongo un secondo quesito: «E i vostri genitori urlavano con voi?». Almeno la metà dei presenti di solito segnala che la generazione precedente non reagiva in questo stesso modo. Perché questa differenza? Perché le urla servono a rimettere distanza nel rapporto educativo nel momento in cui un figlio non ascolta, non segue le regole o può addirittura avere momenti di aggressività verso gli adulti, situazione un tempo molto più rara e che oggi invece si presenta spesso, tanto più dopo i due anni di pandemia che hanno costretto grandi e piccoli in un ambiente casalingo sempre più promiscuo. Ma diventare amici dei propri figli non è la strada giusta.

Trovo molto «originale», per fare solo un esempio, che la stragrande maggioranza dei genitori consenta a bambini e bambine già grandi di entrare tranquillamente in bagno quando papà e mamma sono presenti, creando momenti imbarazzanti. La voglia di rompere definitivamente la spaventosa distanza che divideva padri e figli nelle generazioni precedenti porta a episodi davvero grossolani... Qualche esempio? Una signora mi mostra un disegno di sua figlia di 8 anni, spiegandomi: «La maestra ha chiesto di disegnare i migliori amici o le migliori amiche. Sono raffigurate cinque persone una di fianco all’altra, sullo stesso piano. Queste quattro sono le sue amiche, la quinta sono io». Sembra soddisfatta di essere inclusa. Peccato che la piccola abbia 8 anni e la madre non possa essere equiparata a una bambina di quell’età. I confini e i limiti si stanno dunque stemperando fino quasi a scomparire, per poi essere ristabiliti col sistema delle urla, che finisce però col mostrare una notevole fragilità emotiva.

Un’altra figura contemporanea particolarmente inedita è quella del papà compagno di giochi. Mi racconta Pietro: «Mi piace giocare con mio figlio di 4 anni e mezzo. Quando torno a casa dal lavoro facciamo tanti giochi, è un modo per stare con lui. Adora i film della Marvel, quindi facciamo soprattutto giochi di ruolo». Chiedo in che cosa consistano: «Io devo fare Spiderman e lui il ladro che scappa. Poi mi chiede di invertire i ruoli. Altre volte lui è Peter Pan e io Capitan Uncino. In pratica, devo sempre perdere. Va bene, dottore?».

Occorre saper distinguere tra il far giocare i figli e il mettersi alla pari diventando compagni di gioco. C’è una bella differenza tra il preparare le costruzioni che poi utilizzeranno i bambini e l’impersonare la cliente della parrucchiera in un gioco di ruolo. Alcune situazioni possono creare un eccesso di confidenza e poi risulta difficile ricostruire la giusta distanza che permette di mantenere l’autorevolezza educativa. Non sono un amante degli antichi proverbi, ma quanto fin qui detto me ne richiama alla mente uno: «Troppa confidenza toglie la riverenza». Il mondo è fortunatamente cambiato, ma i genitori devono sempre e comunque restare un punto di riferimento per i propri figli. 

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Data di aggiornamento: 23 Novembre 2022
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