07 Ottobre 2021

Chi non vuole gli oriundi?

In Italia migliaia di posti di lavoro vacanti potrebbero essere coperti dai discendenti degli italiani all’estero. Ma una parte delle nostre istituzioni guarda solo agli immigrati da Africa e Asia.
Chi non vuole gli oriundi?

© Malte Mueller / Getty Images

Negli ultimi mesi – ma il fenomeno sta diventando strutturale –, Confindustria, Fipe-Confcommercio, Federalberghi, Anita (Associazione nazionale imprese trasporti automobilistici) e altre organizzazioni di categoria hanno lanciato l’allarme: la ripresa economica post-Covid in Italia ha lasciato centinaia di migliaia di posti di lavoro scoperti (solo in Veneto sarebbero 250 mila quelli potenziali!): operai, tecnici, ingegneri, addetti al turismo e alla ristorazione, al settore agricolo, autotrasportatori, ma anche medici e infermieri per gli ospedali e le case di riposo. Figure che si reperiscono con difficoltà sul nostro mercato del lavoro per mancanza di una specifica qualifica o perché molti inoccupati e disoccupati hanno imparato a vivacchiare grazie alla manna del reddito di cittadinanza che arrotondano con qualche lavoretto in nero, soprattutto al sud.

Per converso, sono migliaia i discendenti di italiani, nati e residenti all’estero, molti dei quali con cittadinanza italiana, disposti a trasferirsi e a lavorare in Italia. Sono diplomati, laureati, spesso con due lauree. Oltre all’italiano parlano la lingua del Paese in cui sono nati, e sovente anche una terza lingua. Risiedono in prevalenza in America latina, ma anche in altri Paesi d’emigrazione dove la situazione occupazionale ed economica non è florida. Sono legati all’Italia dalla cultura e dalle tradizioni che le loro famiglie hanno coltivato e instillato in loro per decenni. Questa è un’occasione storica per ricongiungere l’Italia ai discendenti dei suoi emigrati all’estero. Basterebbe istituire dei «corridoi lavorativi» per favorire la loro selezione e il loro inserimento in Italia. Ma per i discendenti degli italiani, nei Decreti Flussi le quote d’ingresso per lavoro in Italia sono risicate.

C’è una parte della politica, al governo e in parlamento, che si volta da un’altra parte. A denunciarlo è Marinellys Tremamunno, presidente dell’Associazione Venezuela La Piccola Venezia: «A volte sembra una scelta ideologica perché non si riesce a capire come mai sia più importante favorire le migrazioni dall’Africa e dall’Asia, per nulla compatibili con la cultura italiana, e con differenze anche di tipo religioso, invece di promuovere il ritorno dei discendenti degli italiani. Per assurdo, mentre in Italia non si pensa agli italiani all’estero, queste comunità difendono fieramente la loro origine italiana e sono custodi delle nostre tradizioni».

Di analogo avviso Elena Donazzan, assessore all’Istruzione, alla formazione, al lavoro e alle pari opportunità della Regione del Veneto: «la politica attuale e quella degli ultimi anni è stata tutta rivolta ad aprire indistintamente le porte dell’Italia a chiunque, anche solo di passaggio o peggio clandestino, e non si è occupata delle legittime e giuste richieste dei discendenti degli italiani. Basterebbe la volontà politica di affrontare questa problematica e definire una procedura per il riconoscimento della doppia cittadinanza a chi ne facesse domanda da discendente, o prevedere uno specifico permesso di soggiorno con la causale: discendente italiano. Credo molto nel potenziale che le relazioni hanno in economia, e credo moltissimo al comune sentire determinato dalle radici condivise, dalla tradizione e dalla trasmissione di valori che comunque resistono nel tempo con i cognomi, con la storia, con la nostalgia. È molto più semplice trovare un accordo tra chi la pensa nel medesimo modo, ha le stesse radici, ha una tradizione comune».

Non è un caso che argentini e italiani si professino cugini. «Da anni programmi di studio di italiano all’interno delle realtà associative italiane nel mondo, istituzionali, private, cattoliche, contemplano nelle loro attività viaggi di studio in Italia – osserva Delfina Licata, ricercatrice della Fondazione Migrantes –. Il tema è al centro del nostro interesse perché, come Fondazione, siamo partner dell’Osservatorio permanente sulle radici italiane in una ricerca promossa dal Maeci, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dal titolo Scoprirsi italiani: il viaggio delle radici in Italia. È la prima ricerca che ha l’obiettivo di raggiungere 10 mila italo-discendenti interessati al viaggio delle radici per poi connotare anche teoricamente il fenomeno. Il viaggio determina nei viaggiatori italo-discendenti la voglia di trascorrere periodi più lunghi, di specializzarsi ulteriormente, di mettere radici nei luoghi dei propri padri o nonni. E così si cercano percorsi e borse di studio, gemellaggi oppure opportunità lavorative».

Uno Stato assente(ista)

Da tempo, ad assumersi l’onere di far incontrare questa offerta di lavoro con la rispettiva domanda sono le nostre associazioni d’emigrazione. «Noi abbiamo parecchi associati in Confindustria, non soltanto pugliesi, e abbiamo anche imprenditori che vivono fuori dalla Puglia, e sono nostri associati – afferma Giuseppe Cuscito, presidente dell’Associazione internazionale Pugliesi nel mondo –. E ci contattano affinché ci interessiamo a trovare queste figure di lavoratori. Tra i nostri associati abbiamo centinaia di aziende, e anche ambasciatori e consoli. Così nel nostro piccolo, abbiamo risolto alcuni di questi problemi. Ma sono le istituzioni che dovrebbero fare il primo passo. Ci vorrebbe un tavolo organizzato dalle associazioni d’emigrazione e dai mass media al quale invitare le istituzioni a confrontarsi su questo tema. Occorre coinvolgere gli operatori economici. Ci sono tanti italiani di seconda e terza generazione che verrebbero di corsa a lavorare qui in Italia. Non aspettano altro che una proposta. Tra questi, anche molti giovani. Sul nostro sito internet www.puglianelmondo.com abbiamo una sezione dedicata al lavoro. Molte richieste arrivano dall’Argentina».

Sulla stessa linea anche Marco Crepaz, direttore dell’Associazione Bellunesi nel mondo. «Nel 2009 abbiamo creato la piattaforma www.bellunoradici.net, un portale attraverso il quale connettere tra loro, e con la terra d’origine, i bellunesi che, lontano da Belluno, hanno saputo farsi strada nella loro attività, con l’obiettivo di valorizzarne e condividerne competenze ed esperienze. Grazie a questo strumento, la nostra associazione è in grado di mettere in diretto contatto aziende bellunesi interessate a offrire posti di lavoro a discendenti di bellunesi. Entro l’anno verrà creato uno sportello online per potenziare questa rete, con il sostegno del Fondo Welfare Dolomiti. Abbiamo ricevuto numerose richieste di lavoro, in particolare da discendenti residenti in Brasile, Argentina, Croazia e Romania. In questi ultimi anni, le gelaterie in Germania, gestite da gelatieri bellunesi, hanno avuto un incremento di personale proveniente proprio dal Brasile.

La stessa cosa vale anche per gli imprenditori brasiliani, ovviamente discendenti di veneti, che acquistano per le loro aziende macchinari prodotti in Veneto. La rete diretta, com’era tra i nostri storici emigranti, è sempre quella vincente. Certo, devono crederci anche le istituzioni e sostenere le attività del nostro associazionismo. Ma, probabilmente, non c’è la percezione delle potenzialità offerte dai nostri discendenti. Il nostro presidente Oscar De Bona mette da sempre in evidenza come “con un investimento di 1 si può ottenere 10. Basta crederci e supportare realtà come l’Associazione Bellunesi nel mondo”».

La stessa cosa vale anche per il settore sanitario. Il problema della carenza di personale è sotto gli occhi di tutti: dai medici agli infermieri, dai tecnici agli operatori socio-sanitari. «Sempre in Argentina, Brasile e nei Paesi dell’Est Europa – sottolinea Crepaz – ci sono discendenti già formati e disposti a venire in Italia; e ci sono altri discendenti che sarebbero disponibili ad essere formati e a trasferirsi. Porto l’esempio del Rotary Club Belluno che, anche con il supporto della nostra associazione, ha avviato un progetto che formerà operatori socio-sanitari provenienti da Croazia, Romania e Albania, e che andranno a lavorare nelle RSA del bellunese».

Proprio il settore sanitario è stato il primo a rendersi conto della necessità di sviluppare queste sinergie in occasione della pandemia di Covid-19 che ha interessato pesantemente anche l’Italia. «Attualmente ci sono 44 professionisti italo-venezuelani (14 infermieri e 30 medici laureati in Venezuela) che lavorano grazie all’articolo 13 del “Decreto Cura Italia” che consente l’esercizio temporaneo di qualifiche sanitarie a professionisti con titoli di studio conseguiti all’estero – ci informa Tremamunno –. Tuttavia, l’amministrazione pubblica non ha saputo agevolare l’inserimento di questa qualificata forza lavoro a causa di una grande disinformazione e di procedure impossibili da affrontare nel contesto di una crisi sanitaria mondiale. In alcuni casi, come Associazione Venezuela La Piccola Venezia, abbiamo dovuto spiegare come funzionava il Decreto. Dopo quasi due anni di pandemia, posso dire che questa esperienza è stata molto positiva: dal medico anestesista che lavora in Piemonte, passando per le infermiere in Liguria, fino al gruppo più numeroso che lavora in Molise dove siamo riusciti a inserire 20 medici con diverse specializzazioni. Attualmente ci sono circa 150 medici con laurea venezuelana disponibili a lavorare subito, tutti residenti regolarmente in Italia. La grande maggioranza di loro ha la cittadinanza italiana, e oggi fanno lavori saltuari per sopravvivere».

Sono bravi professionisti, altamente qualificati, anche con doppia specializzazione, scappati dal Venezuela, e che non riescono ad esercitare la professione perché hanno problemi a reperire in Venezuela i documenti necessari per ottenere il riconoscimento del loro titolo di studio in Italia. «In Spagna – prosegue Tremamunno – risiedono circa 5 mila medici con laurea venezuelana, di cui almeno il 10 per cento è di origine italiana, secondo i dati dell’Associazione dei Medici Venezuelani in Spagna, il cui vicepresidente è un italo-venezuelano: il traumatologo Giovanni Provenza che esercita la professione a Madrid, ma non è riuscito a ottenere l’equipollenza del suo titolo in Italia. La nostra associazione ha ricevuto centinaia di richieste di medici e infermieri venezuelani che vivono in Spagna, in Portogallo e in altri Paesi europei e latinoamericani, e nello stesso Venezuela, che sarebbero disponibili a venire subito in Italia».

La bilancia demografica

Questa forte domanda di lavoro dall’estero è un fenomeno nuovo, collegato al fatto che, forse, in questo momento c’è più Italia all’estero, se intendiamo la questione dal punto di vista prettamente demografico, come sottolinea Licata: «con meno di 60 milioni di residenti in Italia e oltre 5,5 milioni di cittadini regolarmente residenti all’estero e iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, a cui vanno aggiunti sia coloro che sono all’estero ma in posizione irregolare (perché non hanno comunicato la loro permanenza fuori dei confini nazionali per un periodo superiore ai dodici mesi), sia gli italo-discendenti. Di questi esistono solo stime che portano a parlare gli studiosi di circa 70-80 milioni di persone nel mondo. Uno studio relativo al 2013 considerava in circa 30 milioni il bacino di discendenti di italiani presenti nel solo Brasile».

Quali istituzioni, allora, dovrebbero attivarsi in Italia e all’estero per favorire questo networking tra chi offre e chi cerca lavoro in virtù del fatto che la difficile reperibilità di certe figure sta diventando un problema cronico e non più occasionale? «Il Ministero degli affari esteri e la rete delle ambasciate e dei consolati sono, per legge, deputati al raccordo tra la nostra nazione e chi vuole venire qui a lavorare o a vivere – risponde l’assessore Donazzan –. A questi soggetti io affiancherei le associazioni riconosciute degli italiani all’estero e le Camere di commercio italiane all’estero. Un efficace controllo, da parte delle istituzioni, della effettiva discendenza e delle motivazioni dei discendenti di italiani, e un incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro da parte delle associazioni sarebbe un ottimo modello».

L’ipotesi del «corridoio lavorativo» diventa dunque praticabile per favorire la selezione e l’inserimento di figure qualificate laddove fanno difetto le risorse locali. «Questo è il momento di immaginare soluzioni che vadano in tale direzione – aggiunge Donazzan –. Oggi il mercato del lavoro del Veneto cerca addetti. E io sono disposta ad aiutare nella formazione a distanza, nell’inserimento lavorativo in Veneto e nella costruzione di reti di reclutamento da farsi all’estero, soprattutto dove ci sono le nostre comunità più presenti». «Giuseppe Provenzano, già ministro per il Sud e la coesione territoriale, avviò a suo tempo una rete di talenti per il Sud mappando, grazie al mondo istituzionale e privato, un foltissimo numero di giovani eccellenze italiane, originarie del meridione ma che risiedono e lavorano all’estero – ricorda Licata –. L’attività è stata rilevata dal­l’attuale ministro Mara Carfagna, e il fine è proprio quello di instaurare networking utili a far dialogare i territori di partenza – in questo caso solo del Sud Italia – con le mete di destinazione. All’interno di questa rete, numerosi sono gli italo-discendenti.

In un’Italia demograficamente in crisi, che necessita di nuova linfa demografica e produttiva, operare affinché ci siano forme d’attrazione di una serie di professionalità carenti, sarebbe una strada non solo giusta e al passo con i tempi, ma egoisticamente utile per un’Italia sempre più senilizzata e destinata demograficamente a scomparire. Questi tipi di networking dovrebbero essere favoriti a livello centrale, ma non possono non essere riconosciuti dalla platea più ampia, e quindi collaborare attivamente con tutti gli attori effettivamente coinvolti: mondo istituzionale in primis, ma anche mondo aziendale, sistema scolastico e formativo, tessuto culturale e associativo, mondo ecclesiale.

Ed è proprio nel mondo ecclesiale, all’interno delle storiche associazioni cristiane e delle Missioni cattoliche italiane che il turismo di ritorno ha compiuto i primi passi quando venivano organizzati i campi estivi e si portavano i ragazzi a conoscere i luoghi lasciati dai propri genitori, o le città italiane più importanti di cui, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna conoscenza». Non dimentichiamo anche i vantaggi indiretti che questo networking può favorire. «I nostri emigranti, dalla prima alla quinta generazione, sono i nostri ambasciatori – rammenta Crepaz –. Cosa vuol dire? Che promuovono personalmente la terra da cui sono partiti o da cui sono partiti i loro avi. Quindi, non solo possono rientrare, ma possono invitare anche amici e conoscenti che non hanno nessun legame con Belluno o con il Veneto, a venire qui per portare la propria esperienza professionale. Un esempio? Grazie a un nostro discendente bellunese residente in Svizzera, abbiamo fatto incontrare una multinazionale austriaca con una serie di imprenditori bellunesi per realizzare assieme un progetto europeo».

Imprese italiane delocalizzate all’estero, o straniere che intrattengono relazioni commerciali con l’Italia, vantano già dipendenti che conoscono la lingua e la cultura dell’Italia. «Il settore turistico in America latina è un esempio calzante – conclude Licata –, ma anche l’attività cinematografica, il mondo artistico, la moda, l’arte, il made in Italy, il settore ristorativo e dell’enogastronomia. Le attività per le quali l’Italia viene riconosciuta come leader in tutto il mondo, già coinvolgono, nei loro staff all’estero, italo-discendenti che hanno familiarità con la lingua, gli usi e i costumi del nostro Paese, oltre a una certa intraprendenza e a uno stile tutti italiani».

 

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Data di aggiornamento: 11 Ottobre 2021
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