Dono non è scambio
Lo scambio è un do ut des dove lo scopo alla fine è il proprio profitto, alle spese di qualcun altro. Il dono è unilaterale, ed è mosso dal desiderio del benessere dell’altro. Ci sono contraccambi del dono, come la gratitudine, ma non sono essi il movente: casomai, ciò che arriva «in più», perché il dono sempre genera, trabocca, eccede il dovuto e regala il nuovo.
Lo scambio è mercificabile, il che significa che un dispositivo astratto, il denaro, è capace di rendere tutto quantificabile ed equivalente: non ci sono differenze, tutto può essere tradotto in un prezzo e diventare merce acquistabile.
Poiché non è bello sentirlo dire, allora si prende a prestito il linguaggio del dono per parlare dello scambio. Così, per esempio, l’utero in affitto viene giustificato come il modo di «donare» a una donna sterile la possibilità di diventare madre (se può pagare). È falso. Questo è uno scambio, non un dono.
È la stessa logica del commercio di organi, attorno al quale sta nascendo un business sulle spalle dei più poveri. Dopo la «biopolitica», la regolazione disciplinare della vita biologica da parte del potere, si afferma il «biomercato»: la vita umana, che è unità profonda di corpo e spirito, ragione e cuore, sensorialità e sensibilità, viene ridotta alla dimensione materiale, fatta a pezzi e venduta a chi può permettersi di comprare.
Non lasciamo che venga chiamato dono, e custodiamo l’unicità e verità di questa parola preziosa.