30 Dicembre 2022

«Ernie» affettive

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» ci dice il Vangelo. Ma noi non sempre abbiamo la forza di comportarci così, è un invito troppo pesante per le nostre possibilità. Solo la Grazia di Cristo può aiutarci.
«Ernie» affettive

© Giuliano Dinon / Archivio MSA

«Carissimi Edoardo e Chiara, sono sposata da 18 anni. Io e mio marito abbiamo due figli di 9 e 14 anni e abitiamo in provincia di Bergamo. Il mio problema è che non trovo più un motivo valido, a esclusione dei figli, per restare con mio marito. Da almeno 10 anni lui si è completamente spento, non ha più voglia di fare nulla, con me o con la famiglia, che dia un po’ di vivacità alla nostra vita. A ogni proposta (gite domenicali, cene con amici, occasioni spirituali…) mi sento sempre rispondere di no, perché lui è stanco, lavora molto e si deve riposare. L’estate scorsa è stato perfino difficile portarlo a fare un po’ di vacanza, perché gli pesava la strada e per lui sarebbe andato benissimo starsene a casa a riposare. Obiettivamente il suo è un lavoro pesante, perché è un artigiano, lavora da solo e gira molto. Lui mi dice che dovrei essere contenta, perché è grazie al suo lavoro che “abbiamo da mangiare in famiglia” e io ho potuto stare a casa e seguire i ragazzi. Sicuramente è un uomo tranquillo e mi lascia gestire le cose come meglio credo, ma mi mancano la vitalità, una affettività calda e quella collaborazione che speravo di vivere con lui nel matrimonio. Spesso mi chiedo se sia una cosa buona continuare a stare in un matrimonio così sterile, dove rimango solo per un discorso economico. Tra me e mio marito c’è il vuoto totale. Gli ho più volte proposto di fare un percorso di psicoterapia di coppia, ma lui mi ha sempre risposto che non crede in queste cose, e non vuole confrontarsi neppure con amici o un sacerdote o chiunque altro. L’unica cosa che desidera è essere lasciato in pace e riposarsi. Io non ce la faccio più e non so se sia meglio un’onesta separazione o restare in un matrimonio farsa per non creare problemi».

Silvia

Carissima Silvia, il dilemma che ci poni è enorme. È giusto continuare a tenere in piedi un matrimonio che vede una coppia ormai lontana affettivamente e nel quale il marito boicotta ogni forma di aiuto e cammino? Non sarebbe più onesto optare per una separazione che ormai dal punto di vista della relazione è già in atto? Se invece si sceglie di restare, per che cosa lo si fa? Per chi? Ci dispiace ma non possiamo darti, non sapendo quale sia, la risposta giusta. Ovviamente una parte di noi preferisce optare per il restare, perché crediamo nel matrimonio e pensiamo che ogni rottura di una relazione, soprattutto se ci sono dei figli, porti una lacerazione sociale. Questo, però, non significa assolutamente che sia la scelta che tu debba fare: in quanto esseri umani, noi non abbiamo la verità sulla vita di nessuno. Vogliamo però umilmente provare a illuminare la questione.

La prima evidenza è che siete sposati e 18 anni fa tu hai promesso di amare tuo marito in salute e in  malattia, nel bene e nel male. Se volessi provare a mantenere la parola data, questo è proprio il tempo del «male», dell’insoddisfazione che ti logora a causa dell’apatia di tuo marito. Una sfida da raccogliere è quella di provare ad amarlo quando il male te lo procura proprio lui, quando ti sembra più un nemico che un amico. Gesù stesso ci dice «Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Quel giorno di 18 anni fa, davanti all’altare non hai fatto una promessa che sarebbe durata finché l’altro manteneva la sua, ma, singolarmente, hai promesso di amare l’altro come Cristo ha amato l’umanità, donando tutto senza avere nulla in cambio. Questa promessa l’hai fatta in modo indipendente dalla fedeltà di tuo marito alla sua.

C’è un problema, però. Se anche tu decidessi di amarlo di questo amore gratuito, con la tua sola forza di volontà non ce la faresti. Ti procurerebbe un’«ernia affettiva», perché troppo grande è il peso di questa impresa per le nostre piccole e bisognose strutture psichiche. È necessario potersi appoggiare su qualche altra leva per riuscirci, e per comprendere la natura di questo supporto esterno dobbiamo ritornare alla promessa nuziale. Appena prima della frase già citata sull’impegno ad amare anche nel male, tu quel giorno hai detto «con la Grazia di Cristo prometto di amarti e onorarti…». Carissima Silvia, solo con la Grazia di Cristo puoi riuscire a compiere questa ambiziosa promessa e amare tuo marito senza esserne corrisposta. Questo è possibile perché per primi siamo stati amati senza merito, mentre eravamo nel peccato, mentre lo tradivamo, e questo continua a essere gioiosamente vero anche nelle nostre vite. Qui e ora puoi riversare l’amore gratuito ricevuto dal Padre, in modo gratuito verso tuo marito.

Quando i nostri partner vengono meno al loro impegno di cura della relazione, quando non ci amano come vorremmo, proprio lì l’amore si fa puro, si fa dono, ma non per merito nostro, non perché siamo bravi o buoni, ma perché ci siamo riconosciuti amati per primi dal Padre. Silvia, non ti stiamo dicendo che «devi» fare così, ma che puoi desiderare di fare ed essere così. Questo non è un percorso che si può intraprendere per evitare i sensi di colpa, è una strada che si percorre per gratitudine: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Detto questo, Silvia, la decisione è tua e solo tua e qualsiasi essa sarà sappi che noi ti siamo vicini. Ti auguriamo, francescanamente, «pace e bene».

Edoardo e Chiara Vian

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Data di aggiornamento: 30 Dicembre 2022

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