Femminicidio e individualismo
Quello che i media non fanno – mentre spesso dispensano con dovizia i particolari più macabri – è suscitare delle domande vere, che mettano in moto un processo di consapevolezza, e quindi di possibile cambiamento.
La crisi del maschio, la fragilità delle donne e il loro spirito sacrificale o, viceversa, la loro rivendicazione di libertà che sente il legame come un ostacolo alla felicità, la possessività maschile spacciata per amore: sono cose vere, ma sintomi, non cause.
Intanto va detta chiara una cosa: esiste una violenza di genere, fenomeno indiscutibile dove il maschio è carnefice e la femmina è vittima. C’è una cultura piena di retaggi di un passato che si pensava superato, ma non lo è.
Quello delle «mogli e buoi dei paesi tuoi», dove il problema non è la provenienza ma l’accostamento: la donna come una proprietà che se non è mia non deve essere di nessun altro. Ciò che ci fa stare bene è giusto, ciò che ci fa stare male è sbagliato, e quindi va rimosso.
Il femminicidio è, paradossalmente, l’esito coerente di un individualismo radicale che ormai è diventato una religione, intoccabile.
Abbiamo disimparato che l’amore è un movimento paradossale di apertura a un’alterità che ci libera – volendo il bene dell’altro facciamo anche il nostro –, mentre ossessionati dal nostro bene distruggiamo noi e chi ci sta vicino.