Fratelli si diventa

Il fratello o la sorella sono il primo «diverso da noi», l’inizio di un percorso di comprensione e accoglienza dell’altro. Fratelli di sangue si nasce, fratello «prossimo» si sceglie di diventarlo.
15 Novembre 2021 | di

«Mio fratello? Lo adoro, è il mio confidente, il mio braccio destro, la mia mente, il mio compagno di giochi e di scherzi. Mio fratello è il mio miglior amico». «Il mio, invece, non rispetta le regole, non mi presta mai le sue cose, eppure si prende le mie. Vuole sempre aver ragione e fa la vittima davanti a mamma e papà. Mio fratello… se potessi lo prenderei a calci».

Quante volte ci è capitato di sentire con le nostre orecchie, e magari di pronunciare con la nostra bocca, espressioni come queste, assai comuni nel dialogo quotidiano tra fratelli (o tra sorelle) all’interno del nucleo parentale, i cosiddetti «fratelli di sangue». Un frasario ricorrente soprattutto nelle prime fasi di vita, quando i fratelli sono ancora piccoli, e poi, con modalità differenti, anche nella pre-adolescenza e adolescenza.

Un registro che – talvolta accade – può non cambiare nemmeno da adulti, quando i rapporti sono incrinati a tal punto che il proverbio «fratelli coltelli» non è solo un semplice detto popolare, ma diventa purtroppo esemplificativo di vincoli familiari divenuti fratture insanabili o di «guerre» fratricide causate quasi sempre dal desiderio del possesso di cose, beni, eredità.

Che cosa significa, davvero, essere fratelli o sorelle? Quali sono le dinamiche alla base di una delle relazioni più importanti della nostra vita? Qual è il valore di un «codice affettivo di base», caratterizzato per sua stessa natura da due elementi contrapposti come rivalità e solidarietà? E la pandemia e l’isolamento in cui sono state costrette a vivere per mesi le famiglie, hanno rinsaldato i rapporti tra fratelli o ne hanno amplificato le ambivalenze?

Fratelli in codice

«Tra i codici affettivi di base, quello fraterno è tra i più importanti – spiega il dottor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano, docente di Compiti evolutivi e clinica dell’adolescente e del giovane adulto presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e di Psicologia clinica presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano –. Dentro di sé contiene due aspetti determinanti per la maturazione dell'individuo: la solidarietà e il sostegno, ma anche lo sviluppo delle competenze, sollecitato dal confronto e dallo stimolo competitivo.

Proprio per questa ragione, quello dei fratelli è un codice democratico: oltre a condivisione e complicità, racchiude, infatti, la spinta a crescere, aspetto chiave della vita in generale e, in particolare, dell’adolescenza. Un bambino è un soggetto che ha una sua unicità già nella mente della mamma e del papà.

Mettiamoci, allora, nei suoi panni: a un certo punto arriva nella sua vita un estraneo, un “inopportuno” con il quale si deve, per forza, confrontare. Inevitabilmente lui, il più grande, passa in secondo piano per fare spazio al più piccolo che deve essere accudito, nutrito e, dunque, ha più bisogno. La centralità, pertanto, non è più una sua esclusiva.

Questa dinamica e le altre che via via al suo interno si sviluppano insegnano al bambino a cavarsela da solo. Ecco perché quelli che si instaurano tra i fratelli sono legami fortissimi, sono unioni di grande solidarietà e complicità, ma anche di litigi continui e di conflitto costante. Nel descrivere i rapporti tra i figli, i genitori mi raccontano: “Il fratello è il suo mito, si adorano, eppure basta un nonnulla... dopo pochi minuti non si riconoscono più e iniziano a darsele di santa ragione. Si amano e si odiano nel medesimo istante”».

I fratelli vengono dati, è vero, ma c’è un momento della vita in cui essi possono anche essere scelti.

«Soprattutto in adolescenza, e oggi sempre più già in preadolescenza, accade però che i ragazzi scelgano una “fratellanza” o una “sorellanza” – prosegue il docente che si occupa di psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto –. In quel periodo, infatti, il codice dei fratelli assume una connotazione più ampia e si trasforma in fratellanza all'interno del gruppo dei pari età, soprattutto quello spontaneo, non quello della classe, che risulta comunque un’imposizione forzata per sorteggio o per criterio, e nemmeno quello dei gruppi formalmente governati dagli adulti, come ad esempio quelli scoutistici, oratoriali, sportivi, musicali.

Il gruppo spontaneo, quello che non ti è dato, ma che è l’adolescente in prima persona a scegliersi da solo senza imposizioni o filtri esterni, offre da sempre un’azione decisiva per la crescita. Il motivo è semplice: è un codice entro il quale si cercano, in maniera autonoma, i pari, ossia i figli di altre famiglie, portatori di altri valori, di altri modi di essere che servono a integrare i propri. Nasce da qui il valore dell’amicizia, la scoperta dell’altro, diverso da me, che fa trovare “il migliore amico”, “l’amico del cuore”».

Fratelli nella Bibbia

A narrare per primo della necessità del conflitto e del bisogno di incontrare, già nel proprio fratello, il diverso da sé, è un editor di eccezione: la Bibbia.

Nell’Antico Testamento, in particolare, i rapporti tra fratelli sono tutto fuorché idilliaci, come invece ci si potrebbe aspettare. Il racconto della «fratellanza» all’interno dell’ambito famigliare, spesso più ampio del solo nucleo parentale, è fedele alla realtà di molte culture non occidentali, spiega Sebastiano Pinto, docente di esegesi dell’Antico Testamento nella Facoltà teologica pugliese di Bari.

«Perché i fratelli litigano? – si chiede Pinto –. La Bibbia ce lo spiega senza tanti giri di parole. A volte abbiamo un’immagine irenica della Sacra Scrittura: nella terra dove scorre latte e miele tutti si vogliono bene, la vita procede senza intoppi. Ma la Parola non parte dalla soluzione, bensì fa il percorso inverso: ci conduce a essa partendo dal conflitto che riguarda numerose figure della storia biblica e, principalmente, i fratelli. Il conflitto nasce da dinamiche umane ed esiste anche negli uomini e nelle donne della Bibbia.

Tali dinamiche appartengono a tutti noi e si legano sovente alla gelosia, all’invidia, al possesso di una risorsa, di un bene che i fratelli vorrebbero tenere per sé rispetto ai genitori o agli altri fratelli. Eppure anche il dissidio rientra in un percorso di fede. Il momento chiave, anche in questo caso, non è l’arrivo, bensì il cammino per giungere alla meta, durante il quale l’uomo impara a capire meglio se stesso all'interno di un preciso progetto di fede pensato per lui. La Bibbia, tramite i conflitti, giunge a una risoluzione e lo fa attraverso un percorso di maturazione umana e spirituale, declinazioni che non sono separabili ma procedono di pari passo».

Il primo conflitto nella Bibbia, il più tragico, è tra Caino e Abele. «Il primo grande scontro non ha un lieto fine: il rifiuto della fraternità, ci dice senza mezzi termini la Sacra Scrittura, può portare a esiti funesti come l’omicidio o il fratricidio – aggiunge il teologo –. Non è un caso che questa storia potente sia stata posta al principio della Bibbia come un monito per dirci, all’inizio della vita, che il progetto di Dio è il Paradiso dove tutto è armonia. Dentro a questo equilibrio può verificarsi una frattura, come l’eliminazione simbolica e non solo fisica del concorrente, in questo caso il fratello, proprio perché non facente parte di un progetto più grande di armonia e fraternità.

Nella storia dei fratelli Esaù e Giacobbe, per esempio, ritroviamo l’impianto patriarcale tipico delle società antiche. Al primogenito è affidata la tradizione, vale a dire la trasmissione della vita e la benedizione. Il preferito della mamma non è Esaù, bensì il secondogenito Giacobbe, che forse anche si merita la preferenza visto che è attivo, furbo, dinamico e se la cava in mille peripezie. Con uno stratagemma si camuffa da fratello maggiore e si appropria della primogenitura, ingannando il padre che, ormai anziano, non distingue bene i figli. Tocca, infatti, Giacobbe pensando si tratti di Esaù e gli dà la benedizione.

Da qui inizia un altro capitolo della storia di Giacobbe, costretto a fuggire perché il fratello vuole giustamente vendetta. Si allontana dal Paese e compie un proprio percorso umano. Alla fine ritornerà in patria dove, un paio di decenni dopo, incontrerà il fratello e faranno pace.

Prima di arrivare alla soluzione, Giacobbe ha dovuto però emigrare in un Paese straniero, essere attraversato dalla sofferenza, fare un percorso esistenziale che lo fa maturare, trasformandolo in un uomo adulto responsabile, colui che darà origine al popolo di Israele. La volontà di Dio passa attraverso dinamiche misteriose che ci portano a scoprire nel fratello il nostro primo altro. La fatica sta nell’accettare il diverso da sé: si nasce fratelli ma, a un certo punto, si è chiamati a scegliere se esserlo o meno. E questo lo si fa solo accettando l’altro nella sua alterità che è ricchezza, prima di tutto, per se stessi».

Fratelli tutti

«Fratelli» è una parola che piace a papa Francesco. Perché dentro poche, semplici lettere affida all'umanità, al di là di religioni, etnie e culture di appartenenza, un progetto, un percorso, una costruzione. Una parola che, non a caso, ha scelto come titolo di un’enciclica, Fratelli tutti, la sua terza, pubblicata a ottobre 2020 nel mezzo della pandemia e che di fraternità parla sin dalle prime righe.

Diviene prossimo, allora, chi decide di diventarlo. Fratelli di sangue si nasce, prossimi e fratelli nello spirito lo si diventa scegliendo. Non più la fraternità degli uguali, ma la fraternità dei diversi, non la fraternità semplice, ma la fraternità che nessuno si aspetterebbe. La più vera, perché «saggiata come oro nel crogiuolo».

 

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Data di aggiornamento: 15 Novembre 2021
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