I miti erediteranno la terra
Terra. Con questa parola ci riferiamo al nostro pianeta, ma anche al suolo che ogni giorno calpestiamo, o ancora, al terreno da cui crescono piante di ogni genere. È il luogo che abitiamo, le cui risorse sono preziose per la nostra esistenza. Molte volte, però, ci dimentichiamo che anche noi veniamo dalla terra e finiamo per abusare dei beni che ci offre. La stessa parola uomo deriva da humus, che significa, appunto, terra; anche nella Bibbia, il nome Adamo è legato al termine ebraico che significa suolo, terra. Proprio nel libro della Genesi, nel racconto della creazione, Dio dice all’umanità: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (cfr. Gen 1,28). Chi sostiene che questo giustifichi lo sfruttamento della terra e delle sue risorse, dimentica che tutte le cose hanno un limite e un confine.
Sappiamo, però, che l’essere umano ha spesso la pretesa di controllare quanto sta attorno a lui, quanto accade nella sua vita… in che modo? Se da un lato si scopre limitato fisicamente (non può volare, non può respirare sott’acqua, non può uscire da quei pochi chilometri di biosfera nei quali è confinato), dall’altro è capace di conoscere, di apprendere, di creare strumenti, attraverso la sua intelligenza e creatività, in grado di permettergli di superare i suoi limiti.
La conoscenza, quindi, è sicuramente una carta vincente che permette di aumentare le possibilità umane… Ma è possibile conoscere tutto? Questa è una grande sfida, presente fin dalle origini; infatti, proprio nel libro della Genesi troviamo un albero, quello della conoscenza del bene e del male, al quale spesso si è dato un significato etico (il frutto permetterebbe di discernere il bene dal male); in realtà molti studiosi ritengono che «bene e male» sia un’espressione polare, nella quale, nominando due opposti, si intende riferirsi al tutto. In parole povere, l’albero della conoscenza del bene e del male sarebbe l’albero del «conoscere tutto». Le stesse parole del serpente, in quel brano, indicano che mangiarne dà la possibilità di essere come Dio... e così poter fare a meno di Lui. Pretendere di conoscere tutto, alla fine, fa solo incontrare una volta di più il proprio limite: infatti l’uomo e la donna, dopo aver mangiato, si scoprono nudi, creature limitate.
Quale può essere, allora, un atteggiamento che ci aiuta a stare in una relazione buona con la terra e con Dio? Uno spunto ci viene dalle Beatitudini, dove leggiamo: «Beati i miti perché erediteranno la terra». Sembra dire che la terra non è immediatamente nostra, ma è qualcosa che si eredita. E la condizione è la mitezza, un tratto un po’ fuori moda, che pare vada proprio nella direzione opposta rispetto a chi vuol possedere o controllare. Ma chi è il mite? Sicuramente è il contrario dell’aggressivo, ma non è certo remissivo, perché esprime invece un’attenzione serena, una capacità di stare nel presente senza l’ansia del controllo, senza volontà di prevalere, ma creando uno spazio buono che permette all’altro di sentirsi accolto.
Norberto Bobbio affermava che la mitezza consiste nel «lasciar essere l’altro quello che è»: chi è mite non vuole cambiare le cose a partire dall’esterno, non è ossessionato da ciò che possiede o non possiede, ma soggiorna sulla terra in modo nuovo, rendendo «più abitabile questa “aiuola”, tanto da far pensare che la città ideale non sia quella fantastica e descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica universale» (cfr. N. Bobbio, Elogio della Mitezza, Il Saggiatore).
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