I poveri ci spiegano il Vangelo
La parabola del «Buon Samaritano» è tra le più belle dei vangeli (Lc 10). Papa Francesco ha scelto questa parabola come pietra angolare biblica della sua enciclica sulla fraternità, Fratelli tutti. Il primo messaggio del buon Samaritano è la differenza tra il «vicino» e il «prossimo». Il Samaritano che passava lungo la strada non era il più vicino della vittima che si era imbattuta nei briganti; anzi, era il più lontano da ogni punto di vista (per religione, etnia, geografia). I vicini erano invece il sacerdote e il levita, che, al contrario, non si fermano. Dunque, il Samaritano si fece prossimo di quella persona sebbene non fosse suo vicino.
La regola aurea del Vangelo sgancia allora l’amore dalle molte forme di vicinanza: non si ama il prossimo perché mi è accanto, o perché mi è più vicino di un altro, ma perché è una persona che mi trovo davanti e si trova nel bisogno, perché è una vittima. Altrimenti, come ci ha ricordato l’economista Amartya Sen (L’idea di giustizia), avremo sempre persone che ci sono più vicine di altre, e quindi non saremo giusti perché ogni idea di giustizia porta con sé una idea di equità di trattamento. Se tratto i più vicini meglio rispetto ai meno vicini viene meno la prima regola della giustizia. Frasi e politiche che si basano allora su espressioni come «prima gli italiani», «prima gli europei», «prima i cattolici» sono radicalmente contrarie alla logica e alla politica del Vangelo, che ci consente soltanto di dire: «Prima c’è chi incontro sulla strada e si trova in una condizione di bisogno».
Gesù stesso impara la logica del buon Samaritano, quando (come narra il vangelo di Marco al capitolo 7,24-30) incontra la donna siro-fenicia. Quella donna, di un altro popolo e di un’altra religione, quindi una «lontana», gli chiede di cacciare via un demone dalla sua bambina. E Gesù come prima risposta confonde il prossimo con il vicino, e le dice: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Qui Gesù ripete quello che ogni persona di buon senso direbbe. L’occuparsi prima dei figli propri e poi di quelli degli altri è parte del diritto naturale: non va bene occuparsi degli altri senza avere ancora risolto i problemi della famiglia.
Ma il Vangelo non è né buon senso né diritto naturale: è agape, è altro. Allora quella donna straniera e lontana, anche se non lo sapeva, stava raccontando a Gesù la parabola del buon Samaritano, gli stava insegnando il suo Vangelo. Gesù si lasciò convertire da lei: «Ma lei gli replicò: “Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia”». È stupendo vedere Gesù che impara il suo Vangelo da una donna pagana, da una madre, commovente e umanissimo vedere che anche Gesù cambia idea, che anche Dio si converte.
La Chiesa segue ancora Gesù se continua a farsi convertire dalle vittime, se e quando è capace di riscoprire il Vangelo incontrando i poveri lungo la strada, quei poveri e lontani che hanno spiegato e spiegano alla Chiesa il suo stesso Vangelo, con parole che parlano di diritti umani, di rispetto, di uguaglianza, di fraternità e sororità. La Chiesa si è convertita a un Vangelo più cristiano grazie alle parole umane di vittime e lontani. Perché nella Bibbia l’uomo impara il cielo da Dio ma Dio impara la terra dagli uomini, dalle donne e dai bambini. Oggi la terra è piena di samaritani e donne siro-fenicie che ci attendono ai crocicchi della strade per spiegarci il Vangelo che loro non conoscono ancora: quando ci chineremo per ascoltarli?
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