Il bene degli altri

Al tempo dei social che mostrano a tutti, poveri compresi, la ricchezza esagerata di pochi, l’invidia dilaga. Per questo dobbiamo praticare la giustizia, unico vero antidoto.
22 Settembre 2025 | di

Bisogna parlare dell’invidia. Nel suo Liber vitae meritorum, santa Ildegarda di Bingen scrive che non solo non porta niente di buono ma anche ferisce e indebolisce chi la frequenta. È feroce l’invidia, sia sul piano personale che su quello sociale. Perché ci impedisce di essere felici del bene dell’altro. E ci impedisce di essere noi stessi felici dei nostri beni. Si dice «roso» dall’invidia, un verbo interessante, racconta una specie di progressiva dissoluzione della nostra impalcatura personale. Proverbi 14,30 scrive che «l’invidia è la carie delle ossa» e la contrappone al «cuore tranquillo che è la vita di tutto il corpo».

C’è un’atroce immagine dell’invidia nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Fa parte della sfilata dei Vizi e delle Virtù, che si fronteggiano da parete a parete. Giotto rappresenta l’invidia come una donna vecchia, certo malvissuta. Ha un enorme orecchio con cui tutto ascolta e dalla bocca esce un serpente che va a pararsi proprio davanti agli occhi, così che non veda bene. Infatti, etimologicamente, l’invidia, dal latino in (è un prefisso negativo) e videre (vedere) indica la radice del vizio in un vedere distorto, malvedere, che non sa riconoscere quello che abbiamo e fa apparire quello che gli altri hanno come più desiderabile. È un bel problema oggi, perché il nostro vedere si è allargato grazie ai social che ci portano a casa i beni di persone che altrimenti non avremmo mai incontrato: ricche case, auto sempre più grandi, vestiti, cellulari, telefoni. Lusso e possibilità impensabili, una gragnola che ci ammacca duramente la benevolenza verso il prossimo. L’invidia è dietro a molto malparlare dei nostri giorni. Se il bene dell’altro mi infastidisce voglio distruggerlo, con le parole, pronunciate qui e disperse letteralmente nell’intero mondo, grazie al web.

Il Vangelo parla di invidia in un solo luogo, ed è quando Pilato chiede ai sommi sacerdoti e agli anziani se vogliono che liberi Gesù. «Sapeva infatti che glielo avevano consegnato per invidia» (Mt 27,18). Un solo luogo ma mortalmente decisivo. Invidia di che cosa, poi? Del bene che Gesù sapeva fare. E questa invidia sospettosa verso chi fa il bene è qualcosa che conosciamo nelle nostre comunità ecclesiali. Sì, sì, brava, ma chissà… 

Come fare a non essere invidiosi? La tradizione cristiana contrappone l’invidia direttamente alla carità: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità» (1Cor 13,4). Anche Ildegarda prende questa diretta strada della carità. La carità che Giotto contrappone all’invidia è una donna giovane che offre il proprio cuore a Dio e intanto tiene un generoso cesto di frutti nell’altra mano, pronta a offrirli agli uomini. Amor Dei e amor hominis. Chi invidia non ama né Dio né il prossimo, vuole dire. Durissimo.

Però, restando fermo che l’invidia non aggiunge nessun bene alla nostra vita e al mondo, bisogna dire che esistono situazioni precise che la favoriscono. In particolare, oggi, l’ingiustizia sociale scatena l’invidia, di tutti. Vedere la ricchezza ostentata, avere continuamente davanti agli occhi le immagini di un’opulenza  che esibisce lo spreco, il superfluo, in faccia alla povertà crescente, è un’oggettiva istigazione all’invidia, e poi anche alla rabbia e in mille modi alla violenza. Per cui possiamo tornare grazie al cielo alla sapienza biblica: «Osservate il diritto e praticate la giustizia» (Isaia 56,1) e questo certamente è una forma dell’amore, sia di Dio che degli uomini. E un buon antidoto all’invidia. Chissà quanti di noi non sono consapevoli di essere invidiosi. Peccato. Non c’è pace per l’invidioso, questo è.

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Data di aggiornamento: 22 Settembre 2025

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