Il crollo di Babele

Utilizzando la metafora sapienziale della torre di Babele, Benanti rilegge le trasformazioni della società in relazione all’introduzione dei social network nel primo ventennio del secolo attuale. I primi dieci anni sono stati il tempo della costruzione di una Babele digitale: la rete di internet, e in particolare le piattaforme social, promettono di dare un’unica lingua all’umanità, che si «parla» attraverso un dispositivo tecnologico, lo smartphone, che garantisce una connessione continua. Questa «città digitale» ha una sua economia, la cosiddetta socialnomics, basata sulla capacità di generare ritorni economici a partire dalla monetizzazione dei contenuti, anche attraverso degli strumenti come il «like».
La stagione delle Primavere arabe (2010-2011) sembrava confermare i social network come strumenti di libertà di parola, di diffusione di informazione e di organizzazione sociale. Tuttavia, nel secondo decennio, la torre è crollata: uno strumento di condivisione è stato utilizzato addirittura per mettere da parte la razionalità individuale e collettiva (esempio eclatante sono gli eventi di Capitol Hill, nel gennaio 2021). La raccolta di profili dettagliati dei comportamenti degli utenti, il funzionamento non trasparente delle piattaforme, la polarizzazione delle idee, anche attraverso la creazione di bolle informative (i contenuti che raggiungono l’utente tendono a confermare le sue convinzioni), portano a una «modifica predittiva del comportamento e a una graduale erosione del libero arbitrio». Emblematico l’esempio delle notifiche che, continuamente, catturano l’attenzione al punto di metterci «in una condizione di controllo da parte della macchina», ponendo a rischio la nostra autonomia e libertà: la salvaguardia di queste è tra le principali sfide per l’avvenire.
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