Il parroco di Gaza

Intervista esclusiva a padre Gabriel Romanelli, sacerdote argentino, parroco della chiesa della Sacra Famiglia nella Striscia di Gaza devastata dalla guerra.
29 Giugno 2024 | di

Questa intervista è stata realizzata prima del 16 maggio 2024, e pubblicata in lingua inglese sul numero di luglio-agosto 2024 del «Messenger of Saint Anthony». 

Traduzione dall’inglese di Alessandro Bettero.

Padre Gabriel Romanelli è parroco della chiesa della Sacra Famiglia nella Striscia di Gaza. Prima degli attacchi terroristici di Hamas contro Israele avvenuti il 7 ottobre 2023, si prendeva cura di una piccola comunità di 135 cattolici, su una popolazione di 2,3 milioni di abitanti di Gaza, in un complesso che comprendeva anche un convento di Missionarie della Carità, una scuola e un orfanotrofio. Padre Romanelli aveva lasciato la parrocchia alle cure di padre Jusuf Asaad, suo vice-parroco egiziano, mentre si recava a Roma per il concistoro di fine settembre poiché il patriarca latino, monsignor Pierbattista Pizzaballa, era tra coloro che avrebbero ricevuto il titolo cardinalizio da papa Francesco. L’intenzione di padre Gabriel era quella di tornare a Gaza il 6 ottobre 2023, ma è stato ostacolato dalla consegna tardiva delle medicine che aveva accettato di ritirare per conto di una suora di Gaza. Gli attacchi di Hamas e la terribile guerra scoppiata successivamente, hanno provocato l'improvvisa chiusura del confine tra Israele e Gaza, e a padre Romanelli non è stato permesso di ritornare nella sua chiesa.

Msa. Padre Romanelli, come ha mantenuto i contatti con la sua parrocchia?

Romanelli. All'inizio le comunicazione si sono interrotte, ma dopo un po' di tempo siamo riusciti a stabilire un contatto con centinaia di persone. Ora possiamo contattare padre Jusuf. Alcune linee funzionano senza Internet. Invece Internet non sempre va, e a volte ci vogliono 12 o 15 ore per ricevere un messaggio. Qualche volta abbiamo ricevuto messaggi inviati tre settimane prima.

In che modo ha esercitato il suo ministero fuori Gaza?

Grazie a Dio attraverso padre Jusuf. Da anni non lasciamo mai la comunità senza un sacerdote. Non abbiamo mai viaggiato insieme fuori Gaza, e raramente viaggiamo insieme all'interno di Gaza. Di solito usiamo auto diverse. Padre Jusuf ha potuto celebrare la Messa – nei primi mesi due volte al giorno –, è stato recitato il Santo Rosario e fatta l'Adorazione per tutti i rifugiati nel complesso. Quando il numero degli ospiti ha cominciato ad assottigliarsi, padre Jusuf ha ridotto a una le Messe giornaliere, anche per la scarsità di vino per la celebrazione eucaristica. Dopo alcuni mesi, qualche famiglia ha iniziato a fare le ostie con le suore, e a preparare i bambini per la Prima comunione: quattro cattolici e quattro ortodossi.

Quante persone si sono rifugiate nel complesso parrocchiale della Sacra Famiglia?

Il numero più alto è stato di 700 persone. Ora ne abbiamo circa 500, per lo più greco-ortodossi. Abbiamo perso 33 persone, più del 3% della nostra comunità cristiana a Gaza: 20 sono state uccise, 17 di queste all'interno del complesso della chiesa greco-ortodossa di San Porfirio durante un bombardamento delle forze di difesa israeliane, che ha provocato il crollo di un muro; 13 persone sono morte per mancanza di medicinali, tra queste 7 bambini e anziani. Circa 260 cristiani hanno lasciato la Striscia di Gaza in modi diversi, ma sempre passando dal sud. Abbiamo perso il 25% della nostra comunità cristiana.

Quest'anno com'è stata celebrata la Pasqua nella sua parrocchia?

Volevamo creare un’oasi non solo per i cristiani, ma anche per i musulmani, e ogni mattina, fino all’una circa del pomeriggio, organizzavamo molte attività per tutta la comunità. Ma la sera abbiamo iniziato le attività per i cristiani, per preservare la nostra identità. Avevamo dieci gruppi, a cui hanno partecipato anche gli ortodossi, tutti coinvolti in attività spirituali: preghiera, Santa Messa, Adorazione e Via Crucis. È stato molto bello fare l’Adorazione anche per i bambini, per insegnare loro ad amare Gesù, per dire loro che l’ostia è Gesù che ha detto: «Questo è il mio Corpo». Abbiamo detto loro che se Gaza non è un inferno, è grazie a Gesù. Abbiamo fatto anche attività fisica, sport, ma proprio per la Pasqua abbiamo posto l'accento sulla celebrazione spirituale. Siamo entrati nel mistero della Risurrezione. Abbiamo ricordato con le lacrime la morte di Cristo e la morte dei nostri cari, ma sapevamo che dovevamo celebrare la Risurrezione, il sepolcro vuoto. Facevamo bollire un uovo per ogni bambino, anche se era molto costoso, e abbiamo dovuto cercare a lungo le uova per tutti.

Qual è la sua più grande speranza per i cristiani di Gaza? E quali sono i suoi maggiori timori?

La speranza è quella di poter continuare con la presenza del Signore a Gaza. Da duemila anni la comunità cristiana è lì, in modi diversi, ma è sempre lì. Adesso il rischio di scomparire è reale. Il patriarca latino e altri religiosi vogliono che restiamo perché i cristiani sono un elemento necessario della società palestinese. Anche se sono a rischio, i cristiani sono una buona cosa per la maggioranza della popolazione, ed è anche una cosa degna e una cosa buona per la società israeliana collaborare con i palestinesi, siano essi musulmani o cristiani. Spero che la Chiesa continui ad essere presente. Allo stesso tempo, voglio il meglio per i miei fratelli e le mie sorelle. Le persone che scelgono di partire hanno la nostra benedizione, e prego affinché continuino a preservare la loro identità cristiana nel Paese che le accoglie: Stati Uniti, Canada, Spagna, Egitto, Giordania o qualsiasi altro Paese. Anche quando si sta fuggendo, se lungo la strada si perde Gesù, cioè la nostra fede, allora si perde quello che è più importante per noi.

Lei pensa che molti altri cristiani lasceranno Gaza se saranno in grado di farlo?

Sfortunatamente sì. Non sono un indovino, ma sì. All'inizio della guerra, la maggior parte di loro voleva restare a Gaza per ricostruire la propria società, ma ora molti di loro sono depressi perché hanno perso la propria casa e quelle dei loro parenti, hanno perso il lavoro, le scuole dei figli, le loro strade e i loro ristoranti. Eppure, nonostante tutta questa distruzione, non sappiamo ancora quando finirà la guerra.

Il Papa è rimasto in contatto con voi?

Papa Francesco ha comunicato con me quasi tutti i giorni, soprattutto nei primi mesi dopo il 7 ottobre 2023. Adesso comunica anche con padre Jusuf attraverso la mia linea telefonica. Dopo l'attacco missilistico dell'Iran, nell’aprile scorso, il Papa mi ha contattato per informarmi sulla situazione e per dirmi che avrebbe pregato per noi. Quella stessa notte ha contattato padre Jusuf. Di solito è una conversazione molto breve per dimostrare la sua vicinanza alla nostra comunità, per dirci che sta pregando per noi, e per darci forza. Ci racconta anche del suo lavoro per la pace tra il popolo palestinese e quello israeliano; il suo lavoro per facilitare il cessate il fuoco – ha pregato per questo molte volte – e i suoi appelli alle autorità affinché «proteggano i bambini». Il Papa mi parla in dialetto perché è di Buenos Aires come me. A volte impartisce anche la sua benedizione. Se chiama quando padre Jusuf è in parrocchia, qualche volta la gente può salutare il Papa, e qualche giorno fa qualcuno gli ha mostrato un bambino appena nato.

Lei ha continuato a chiedere alle autorità israeliane di poter ritornare a Gaza?

Sì, e si sono rifiutati. Non c’è niente di nuovo. A padre Jusuf è stato permesso di entrare nella Striscia di Gaza con il permesso di Israele, ma non gli è stato permesso di andarsene per tre anni. Per quanto mi riguarda, il periodo massimo di permanenza che mi è stato concesso è di nove mesi. È difficile perché siamo un popolo di pace. Vogliamo la pace per Israele. Vogliamo la pace per la Palestina. Amiamo tutti. La nostra presenza è un bene per tutta la regione. Io soffro per la mia comunità. Abbiamo perso 33 persone, e le conoscevo tutte. Erano la mia famiglia. Io soffro anche per i musulmani. Soffro per gli oltre 34 mila palestinesi che sono morti finora nella Striscia di Gaza, ma soffro anche per gli oltre 1200 israeliani uccisi nei barbari attacchi del 7 ottobre 2023. Siamo cristiani. Cerchiamo di essere umani e di rispettare ogni persona.

I cattolici cosa possono fare per voi?

Pregate e chiedete di pregare per noi durante le Sante Messe. Preghiamo anche la Madonna. Dobbiamo parlare di questa situazione con saggezza e benevolenza se vogliamo che le cose migliorino. Possiamo fare molte cose buone con la nostra parola, ma possiamo anche causare molti danni con essa. Inoltre, si può fornire un aiuto sostenendo l’appello alla beneficenza lanciato dal patriarca latino Pizzaballa. Noi cerchiamo di aiutare il maggior numero possibile di persone.

Il 16 maggio scorso, il patriarca latino, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha potuto entrare a Gaza e raggiungere la parrocchia della Sacra Famiglia per una visita pastorale. Insieme a una piccola delegazione, il cardinale era accompagnato anche da Alessandro de Franciscis, Grande Ospedaliere del Sovrano Ordine di Malta, e da padre Gabriel Romanelli che ha potuto finalmente ricongiungersi alla sua comunità.

Data di aggiornamento: 29 Giugno 2024
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