Il prezzo della libertà

Si ispira a un fatto di cronaca il film «Aïcha», presentato alla 81^ Mostra del Cinema di Venezia. Uno spaccato della società tunisina tra luci e ombre. Ne abbiamo parlato con il regista Mehdi Barsaoui.
24 Settembre 2024 | di

Quanto costa la libertà in Tunisia? Può la morte essere l’unica via per raggiungere l’emancipazione femminile? Parte da queste domande il film Aïcha (Tunisia, Francia, Italia, Arabia Saudita, Qatar, 2024), presentato alla 81^ Mostra del Cinema di Venezia. Il film diretto da Mehdi Barsaoui segue appunto le vicende di una quasi trentenne che, per sfuggire a una vita già scritta, si finge morta e lascia la cittadina nel sud della Tunisia, dove vive con i genitori, per ricominciare da zero a Tunisi. Al di là dei vantaggi, l’emancipazione porta con sé anche molti rischi, e la protagonista del film lo capirà a proprie spese. Sullo sfondo della storia: un Paese reduce dalla rivoluzione, saturo di contraddizioni e in balia della corruzione. Ne abbiamo parlato con il regista Mehdi Barsaoui, già autore e regista di Un figlio (Tunisia, Francia, Libano, Qatar, 2019).

Come è nata l’idea di realizzare questo film?

A dare l’ispirazione è stato un fatto di cronaca del 2019: un incidente d’autobus nel quale una giovane donna decise di darsi per morta per mettere alla prova l’amore dei genitori. Non sapevo che questa vicenda sarebbe diventata lo spunto per il mio film fino a quando mia moglie non è rimasta incinta. A quel punto mi sono immedesimato in quei genitori. Come può una figlia infliggere un tale dolore? E lì è scattata l’idea di sviluppare una storia attorno a una donna che decide di morire per poter vivere, immaginando il suo percorso esistenziale.

In che senso l’identità a volte può diventare un limite in Tunisia?

L’identità pone naturalmente dei limiti non soltanto in Tunisia, ma anche in tanti altri Paesi. Nel senso che, a livello amministrativo e burocratico, non si può fare a meno di essere identificati sulla base di una propria identità anagrafica. Certo, si può sopravvivere senza usare carte bancarie, ma questa opzione diventa un ostacolo in tante situazioni. Il punto allora è cosa significa avere un’identità intesa come essere una persona. In questo senso il tema dell’identità rimanda a tanti significati: è il bagaglio genetico che uno si porta dietro, ma è anche l’identità di una persona viva... Non a caso il film si chiama Aicha, perché Aicha in arabo significa «viva». Quello che mi interessava esplorare – ed è il tema centrale del film – è l’identità di una persona viva, non certo di una morta.

Dal film emerge una società tunisina opprimente e autoritaria (penso alla frase «Questo Paese non ha pietà»), specie nei confronti delle donne. Ci sono segnali di cambiamento?

In realtà non è proprio così, non si può generalizzare. Il film non è il ritratto di una sola donna che rappresenta 6 milioni di donne che vivono in Tunisia. E soprattutto le figure femminili che si incontrano nella storia sono di tipologie diverse. Oltre alla protagonista, vediamo anche la madre, una donna assolutamente autoritaria, legata alla tradizione. Vediamo Hela, che decide di lasciare il marito e di crescere da sola i propri figli... Ogni donna ha di fronte la libera scelta di diventare quello che è. E Aya (il vero nome della protagonista) prende da ciascuna di loro. Quindi il film è davvero una carrellata di ritratti femminili differenti. Il comportamento e le scelte di ciascun personaggio dipendono dalla cultura, dalla religione, dall’estrazione di provenienza. E in base a queste variabili c’è un diverso grado di liberazione o di emancipazione. Ma il film è anche una carrellata di ritratti maschili, a partire dalla figura del padre di Aya (che è l’incarnazione del fallimento nel ruolo genitoriale: un uomo spento, che quasi non parla) fino al poliziotto (che alla fine riesce a liberarsi del senso di colpa per la morte del fratello). Aïcha, insomma, è veramente un prisma di ritratti diversi e, soprattutto, un invito a liberarsi dei pesi che gravano su ciascuno di noi.

Cosa indica la scelta del cambio di colore nella fotografia man mano che la storia si evolve?

L’estetica del film è al servizio della narrazione, segue l’andamento della protagonista. Partiamo, per quanto riguarda la scala cromatica, dai colori del sud che - sebbene virino ai gialli caldi dell’ocra, della sabbia e del deserto – sono un po’ annacquati, annebbiati, perché simboleggiano la confusione, l’insoddisfazione della protagonista. Quando poi Aya si sposta a Tunisi e si apre alla vita, i colori diventano più vivaci, prima di virare verso la cupezza, che è dettata anche dal cambio di genere del film verso il genere thriller. Come i colori, anche le scenografie, i costumi, gli ambienti sono al servizio della narrazione. Non a caso ho lavorato in strettissima collaborazione col direttore della fotografia, la scenografa e la costumista.

Con questo film quale messaggio ha voluto consegnare allo spettatore?

Il film vuole essere sicuramente uno spaccato della Tunisia attuale, ma non è un ritratto cupo. La fine della storia è luminosa. Passa un messaggio di speranza e, in qualche modo, emerge una vittoria della giustizia che è senz’altro una possibile vittoria anche del Paese nel suo percorso di avanzamento verso la democrazia.

Dopo Aïcha ha già altri progetti in cantiere?

Ho una serie di progetti, ma è veramente troppo presto per parlarne. Mi piace scrivere quando ho un’idea in testa, però quella stessa idea deve superare la prova del tempo. Se resta, vuol dire che c’è una possibilità di sviluppo, ma deve arrivare appunto a superare questo esame.

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Data di aggiornamento: 24 Settembre 2024
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