Il tempo perduto di un’altra Africa
Quanto tempo è passato? Meno di venti anni. A gennaio del 2006 ci ritrovammo a Bamako, capitale del Mali, per credere che «Un autre monde est possibile»: era scritto a lettere cubitali sulla collina di Madina. Era il tempo dei Social Forum, ricordate? Forse no. Allora andavamo in Mali a incontrare musicisti grandiosi e intellettuali prestigiosi. Avevamo cambiato quello slogan e gridavamo: «Un’altra Africa è possibile». Anni davvero lontani, lontanissimi.
Come è potuto accadere? È tornata l’Africa dei colpi di stato. «Un’epidemia» aveva detto, già nel 2021, António Guterres, segretario delle Nazioni Unite. Ne ho perso il conto. Nella fascia sahelica, una fascia geografica che dall’Atlantico raggiunge il mar Rosso, ve ne sono stati almeno sei negli ultimi tre anni: in Guinea, in Ciad, due in Burkina-Faso, due in Mali. Il Centrafrica è da anni sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Come il Sudan, spezzato dalla rivalità feroce tra due generali. Alla fine, all’appello di questa follia mancava il Niger. Il 26 luglio è arrivato il suo turno: i militari hanno deposto il presidente Mohamed Bazoum, e, mentre scrivo, lo tengono in ostaggio e si vive sul filo sottile di un’altra guerra africana.
Il Niger, a differenza di Mali e Burkina-Faso, non ha trovato distratti i giornali e il web. Non dovrei stupirmi, questa è anche una storia di soldi, di «ricchezze» naturali: nel 2022 dalle sabbie di questo Paese è stato ricavato il 10 % della produzione mondiale di uranio. Settimo produttore al mondo. Dal Niger, l’Europa importa un quarto del suo fabbisogno di uranio. La Francia, padrone post-coloniale del Paese africano, trova in Niger il 15% della sua necessità di questo metallo atomico. In più: il Niger è un crocevia, uno snodo dei viaggi dei migranti dai Paesi dell’Africa Occidentale. Passa da qui chi vuole fuggire a una vita senza speranze. Non è un caso che almeno un quarto (23 mila uomini e donne) dei migranti approdati a Lampedusa dall’inizio dell’anno provenga dalla Guinea e dalla Costa d’Avorio. E ancora: nei deserti, ai confini tra Libia, Niger, Algeria e Mali, si trovano le roccaforti dei combattenti jihadisti che non smettono di credere in uno stato islamista in questa Africa alla periferia del mondo.
Il colpo di stato in Niger è avvenuto, «a sorpresa», sotto gli occhi di 1500 soldati francesi, 1000 nordamericani, 100 tedeschi e oltre 300 italiani. E proprio gli italiani qui hanno addestrato 10 mila militari nigerini. I colonnelli e generali di Niamey, tutti di formazione professionale francese o americana, hanno già fatto sapere di non voler avere più niente a che fare con la Francia. I soldati francesi (e con loro gli italiani) sono stati già cacciati dal Mali e dal Burkina-Faso. E i mercenari dell’onnipresente «società» Wagner sono da tempo, con le loro strategie violente, a Bamako e in Centrafrica. Si aspetta il loro arrivo in Niger, il colpo di stato è stato benedetto da Evgenij Prigozhin, capo della Wagner. Il Sahel è già terra di conquista per i nuovi padroni russi: una cintura che spezza l’Africa e accerchia da Sud l’Europa. Quella scritta bianca sulla collina di Madina venne cancellata appena una settimana dopo la chiusura del Social Forum.
L’estate in Mali è la stagione delle piogge. Viene chiamata hivernage, è tempo di malaria. Sono passati venti anni da quando uno tra i migliori chitarristi del mondo, Ry Cooder, veniva a Bamako per suonare con Ali Farka Touré, immenso musicista maliano. Ali Farka Touré morì due mesi dopo il Social Forum del 2006. Adesso, agosto 2023, tempo di guerre, bisogna di nuovo aspettare, cercando di sopravvivere, la stagione di «un’altra Africa».
(Foto: © Giovanni Mereghetti)
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