Io contengo moltitudini
«Ho bisogno di una dose minima di meraviglia quotidiana», la scritta, in caratteri rossi, è sostenuta dai raggi di un sole luminoso che risplende, anche nella notte, di fronte al carcere di Rebibbia a Roma. Come sarà venuto in mente di scrivere questa frase a un detenuto privato della meraviglia degli orizzonti? O, forse, la speranza è sorretta proprio da quella «dose minima» possibile anche in carcere.
Marinella Senatore, 47 anni, artista del Sud, ha interpretato con la sua installazione il pensiero di papa Francesco: «la speranza non delude» e ha alzato davanti al carcere una scultura di luce alta sei metri a cui sono appese le parole dei carcerati. Ha un titolo: Io contengo moltitudini, celebre verso del poeta Walt Whitman (I am large, I contain moltitudes): quanti sono gli uomini e le donne detenuti nelle prigioni del mondo? Una infinità di uomini e donne con storie diversissime tra loro. Papa Francesco ha spiazzato i giornalisti: «Ogni volta che entro in un carcere la prima domanda che mi faccio è perché loro e non io…».
Sono certo che Marinella, chinandosi con un sorriso verso Francesco seduto sulla sedia a rotelle di fronte alla sua installazione, gli abbia raccontato che «nessuno dei detenuti» che ha collaborato con lei alla costruzione di quel sole lucente, ha versi o parole già scritte da poeti o scrittori. Al contrario: «Tutti hanno voluto scrivere il loro pensiero, ho avvertito in loro il bisogno estremo di avere una voce personale». Credo che Francesco a sua volta abbia sorriso: aveva appena aperto, nel giorno dopo Natale, la seconda porta dell’anno del Giubileo, dopo San Pietro. Ha bussato sei volte alla porta della chiesa del Padre Nostro, «basilica» all’interno del carcere romano, un luogo «ristretto» dove si pensa che ogni speranza vada perduta.
È la seconda volta, nel giro di un anno, che l’arte contemporanea entra in un carcere grazie al volere di Francesco e della Santa Sede. Nei mesi della Biennale di Venezia, il padiglione del Vaticano era aperto nel carcere femminile della Giudecca. Ora l’anno del Giubileo comincia anche da Rebibbia.
Marinella Senatore deve essersi innamorata da bambina delle luminarie, straordinarie costruzioni di luci che colorano città e paesi del meridione italiano durante le feste patronali, le sagre, le fiere e illuminano i giorni del Natale. E da questa creatività degli artigiani del Sud ha ricavato la sua ispirazione. Le luminarie, ad ascoltare Marinella, ricordano «l’idea di un’assemblea, di una riunione». Una credenza popolare racconta che Martin Lutero, incantato da una stella che si faceva largo tra i rami degli alberi, decise di portare in casa un abete e di accendere una candela tra i suoi rami: fu il primo albero di Natale. La luce testimonia la presenza di Dio. Nel XVI secolo, si cominciò a cercare di rendere felici piazze e strade dei paesi con giochi di luce: si schermavano bicchieri di vetro o lampade di terracotta, colmi di olio lampante da cui si sprigionava una fiamma, con tela catramata o carta colorata.
Nel 1882, Edward Hibbered Johnson, socio di Thomas Edison, accese, a New York, ottanta lampadine colorate attorno a un albero di Natale. Oggi gli artigiani delle luminarie sono grandi artisti popolari: la luce compone strutture complesse, immense ed effimere. La capitale mondiale delle luminarie è Scorrano, paese di poco meno di settemila abitanti, in provincia di Lecce. Si alzano archi in legno, parature, tunnel aerei per sostenere, con miracoli di equilibrio, le fantastiche costruzioni di luce. Nel momento in cui si accedono le luminarie, la gente dei paesi è per strada, a occhi in su, impaziente: non appena la notte si illumina, si perde nell’aria un sospiro di meraviglia: «ooohhh». Oggi si alzano gli smartphone, occhi della contemporaneità.
L’installazione di Marinella Senatore rimarrà visibile fino al 21 febbraio. Ricordatevi di chi si trova dietro le mura di Rebibbia. Un detenuto ha scritto sulla scultura di luce: «Ritornerà il sole e torneremo di nuovo a danzare».
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Foto: Courtesy the Artist and Mazzoleni London - Turin, Foto Mazen Jannoun