Madre d'aiuto
Una giovane ostetrica, Lydia, è in piena attività. Vitale e precisa, svolge la sua vocazione professionale con tenacia e lealtà. Vuol bene alle sue pazienti e ne è ricambiata. Ma un velo di malinconia copre i suoi bellissimi occhi, scuri come i lunghi capelli neri che scendono sull’inconfondibile cappotto rosso. Lydia è sola. Non ha famiglia. Ha un partner convivente (ma il rapporto entra in crisi) e una sola amica, Salomè, che scopre di essere incinta e si fa visitare e aiutare da Lydia durante e dopo il parto. Un parto difficile e rischioso. Lydia suggerisce anche il nome per la piccola: Esmée (colei che è amata).
Molti bambini nel mondo di Lydia. Ma nessuno è il suo. Lei dà il ritmo al rito incantato della nascita. Comanda le contrazioni, deterge il sudore, comprime l’addome, invita a sopportare il dolore, a esprimerlo, gridarlo, tramutarlo in forza espulsiva. Celebra un rito collettivo, cui partecipa anche il compagno maschile. È lei che prende tra le mani, per prima, il neonato, il quale ha fatto la sua parte e si accinge a respirare l’aria di un universo sconosciuto, piangendo a pieni polmoni. Un giorno accade un gesto imprevisto e inquietante, di cui si occuperanno la cronaca e la questura. Lydia esce dal suo ruolo professionale e imprime al destino un corso innaturale.
Il film Le ravissement (The Rapture – Rapita, Francia 2023) di Iris Kaltenbäck esplora le ragioni del thriller dichiarato sin dal titolo, Rapita. E le indaga con gli occhi e la voce di un maschio, un conducente di autobus taciturno, ombroso, gentile. Miloš, di origini slave, è ancora estraneo all’atmosfera francese. Ha avuto con Lydia l’avventura di una notte e poi si è dichiarato indisponibile alla relazione. È un altro «cuore in inverno» della cinematografia francese. Nella prima sequenza vediamo le strade di Parigi dal suo finestrino di guida e abbiamo il privilegio (il dono del cinema e della letteratura) di ascoltare i suoi monologhi interiori: «I giorni avevano finito per somigliarsi. Anche le persone. Ci sono volti che incontri sempre senza conoscerli. Estranei familiari. Lydia era uno di questi… Dovevo leggere questa storia attraverso i suoi occhi».
La pulsione generativa precede la decisione razionale. Precede persino la conoscenza infantile della differenza sessuale. La femminuccia sogna di dare da sé un bambino al padre. L’istanza procreativa viene dalla terra, dalla specie, dal desiderio impersonale, dalla potenza inconscia della vita, che attrae, unisce e moltiplica per non soccombere alla morte, al caos, al nulla.
Contro il razionalismo anaffettivo, l’etica della contemporaneità ha riscoperto la rilevanza del desiderio nei rapporti personali, in particolare nei patti sponsali e nell’alleanza religiosa (si pensi al libro di Osea). Il desiderio (e in genere la fenomenologia delle passioni) non può essere grossolanamente e definitivamente rimosso, ma va interpretato e plasmato nel suo lato positivo, nella sua fame di giustizia, nella sua incrollabile ricerca di un legame affidabile, cui promettersi per sempre, senza riserve. Come ci si promette a un figlio. Lydia non sapeva a chi donare se stessa, ma lo voleva. Non le bastava essere una «madre d’aiuto» al servizio di ogni madre prossima al parto.
Giustamente le colleghe la rimproveravano: prenditi un po’ di riposo, vivi la tua vita, non essere perfezionista. Lydia aveva confuso la propria arcaica, incomprimibile tensione alla maternità con l’impegno di non deludere nessuna donna, di garantire una continua presenza istituzionale. Lydia è rapita da un sogno. Lydia immagina, di giorno, una trama vitale in cui agire da protagonista: donna, sposa, madre. Quando si accorge che la sua contagiosa illusione è diventata infantile, rancorosa e pericolosa, è ormai tardi. La sensualità di Lydia, la sua spontanea complicità coi bambini, il fascino mediterraneo del suo umbratile, disarmante sorriso sono gli ingredienti di una fiaba a finale imperfetto.
Con il film Le ravissement, Iris Kaltenbäck, 36enne regista francese di padre austriaco, è al suo primo apprezzato lungometraggio. Ha lavorato in uno studio d’avvocato e frequentato tribunali, e anche in questo ha assorbito la lezione del polacco Krzysztof Kieślowski (1941-1996), il regista del Decalogo. La sceneggiatura di Rapita tocca, in effetti, la questione dei rapporti tra comandamenti e speranza, tra le norme della vita civile e l’esuberanza degli affetti. La vita dona gioie che fanno piangere. E impone separazioni che sconvolgono abitudini, rompono etichette, scardinano il precario equilibrio dell’autocontrollo. Anche la puerpera Salomè vive un lutto, rapita dal dolore del post-partum, privata dell’immagine di bimbo che l’aveva accompagnata in gravidanza. Lydia è solidale con l’amica come con una sorella. Cerca uno sguardo che la riconosca piena di grazia materna e che le annunci che un figlio verrà.
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