22 Dicembre 2024

Maternità surrogata

Segue le vicende di una coppia decisa ad avere un figlio tramite «utero in affitto», la serie «Un corpo che funziona» (A body that works, Israele 2023) di Shay Capon, visibile in streaming su Netflix.
Maternità surrogata

Un’affiatata e colta coppia di israeliani sulla quarantina (Ellie e Iddo) non riesce ad avere figli. Diverse gravidanze si sono interrotte con aborti spontanei e alcuni cicli di fecondazione artificiale omologa (realizzata cioè con i gameti dei coniugi) non sono andati a buon fine. Il ginecologo, temendo ormai gli effetti collaterali della ripetuta stimolazione ovarica, suggerisce alla coppia una soluzione alternativa all’adozione, ossia la maternità per sostituzione o maternità surrogata. Si tratta di cercare una madre transitoria consenziente, nel cui utero possano annidarsi gli embrioni dei partner. Tramite un’agenzia specializzata, viene scelta l’impulsiva e vitale Chen, madre trentenne di Uri, un simpatico ragazzo di 10 anni. Chen sta completando le pratiche di separazione coniugale e ha problemi lavorativi. Ce la faranno?

La serie tv di otto episodi Un corpo che funziona (A body that works, Israele 2023) si intitola in ebraico Un corpo terzo e ha il vantaggio di offrire una narrazione dettagliata e prolungata di una verosimile esperienza di «utero in affitto». Lo spettatore, dopo aver letto qualche articolo di etica procreativa, potrà esercitare il proprio discernimento in merito al significato di questa controversa pratica di gestazione, che alimenta un «turismo ostetrico» su scala internazionale ed è oggetto di controversie nell’opinione pubblica e tra gli esperti. 

Nel dibattito bioetico, la «gestazione per altri» è criticata per diversi motivi: la moltiplicazione e frantumazione delle figure genitoriali, il rischio di conflitti tra madre biologica e sostitutiva, le difficoltà educative dei bambini che vivranno complicate relazioni familiari. Inoltre è quasi impossibile (oltre che controindicato) nascondere al bambino le modalità della sua nascita e occorrerà perciò prepararsi a comunicazioni emotivamente impegnative. La conduzione di una gravidanza per interposta persona implica tensioni relazionali durante i nove mesi e soprattutto in occasione del parto e dello svezzamento, quando il nato, progressivamente allontanato dalla madre di sostituzione, viene consegnato alla madre «vera». C’è anche il rischio che l’analisi psicologica delle cause di sterilità (alcuni psicoanalisti parlano di un desiderio inconscio di non avere figli) venga omessa sostituendola con una soluzione pragmatica.  

Se poi l’utero è dato «in affitto» viene meno la promessa di dedizione alla vita e alla cura di chi nascerà, in qualunque condizione venga al mondo. Il bambino non è un prodotto cedibile dietro compenso! Portare un bimbo in grembo non è una prestazione tecnica o biomedica, ma uno scambio di promesse di cura e un’esperienza di trasformazione morale per tutti, un evento da cui sarebbe bene tener lontane le lusinghe commerciali. Troppo spesso il corpo femminile è stato strumentalizzato per dare benefici o piaceri a pagamento e non deve diffondersi l’idea che si possa comprare il bambino che la natura ci impedisce di avere. Non tutti, però, pensano che si tratti di un gesto sempre illecito o di un crimine universale sul piano giuridico. Molte coppie italiane ogni anno utilizzano la «gestazione per altri», recandosi all’estero. Si tratta per lo più di coppie eterosessuali. Le posizioni libertarie dubitano che ci saranno necessariamente traumi psichici per i nati. Inoltre, ci sono altri gesti delicati e impegnativi di cura (come l’assistenza medico-chirurgica o certi lavori socialmente rischiosi), in cui un soggetto «sano» impegna tempo, competenze, energie corporee per il bene di altri, ricavandone un legittimo compenso professionale. Uno psicoanalista ha affermato di porre la propria mente a disposizione del paziente come un utero per accogliere pensieri ed emozioni in fase di crescita, allacciando relazioni profonde e delicate con i pazienti che conserveranno, nei casi riusciti, una memoria grata di tale periodo di rischiosa e impegnativa intimità.

In alcuni Paesi la maternità surrogata è legittimata. Come in Israele, in cui la serie tv è ambientata, dove la pratica è in auge sin dal 1996 per coppie eterosessuali (poi anche per altri soggetti), in nome del valore della procreazione e di un presunto diritto a «essere genitore», mentre è vietato, invece, il prestito gratuito dell’utero. È escluso poi ogni legame genetico tra la donna portatrice e i genitori intenzionali. Ed è invece obbligatorio compensare la gestante per l’impegno, la disponibilità, i rischi, le spese e il mancato guadagno. Se la madre sociale è ebrea, anche quella «surrogata» dev’essere ebrea. Le tradizionali norme religiose giudaiche (Halakhah), in cui la discendenza familiare assumeva una valenza quasi escatologica, si sono declinate, nel contesto pluralistico e secolarizzato di uno Stato «family-oriented», nella realizzazione di strutture avanzate («Case per la maternità surrogata») dotate di supporti psicologici e sociali e visionate da un Comitato. Questa narrazione tv, pur segnata da qualche semplificazione, ci consente una comprensione empatica più fine, una rappresentazione delle concrete relazioni affettive in gioco e un’analisi linguistica (la sceneggiatura è ottima) che è il primo passo per una seria valutazione etica.

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Data di aggiornamento: 22 Dicembre 2024
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