Il terzo giorno dei nostri figli
«I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 41-52).
Che bella pagina di Vangelo, una pagina decisamente familiare! Quanta consolazione dà a me e a Chiara sapere che anche Maria e Giuseppe hanno avuto qualche problemino con l’adolescenza di Gesù... Anche loro si sono angosciati a causa dei suoi comportamenti, anche loro non capivano e navigavano a vuoto dal punto di vista genitoriale, anche la loro coppia a volte era risucchiata dal vortice dell’esplosività adolescenziale del loro figlio.
Ovviamente ci sono alcune piccole differenze tra il comportamento del Gesù dodicenne e il comportamento di nostra figlia quattordicenne o nostro figlio sedicenne. Quando nostro figlio non torna a casa all’ora stabilita non ci è mai capitato poi di trovarlo in chiesa a fare una catechesi, più semplicemente si era attardato nel far festa con i suoi amici. Non ci è mai capitato di trovare nostra figlia seduta in mezzo ai suoi insegnanti, intenta ad ascoltarli e a interrogarli (ma è probabile che siamo noi che non l’abbiamo mai beccata al momento giusto). Tuttavia, con le dovute differenze, la trama di fondo è la stessa: un figlio che ormai ha acquisito una propria autonomia e la esercita per fare delle scelte che gli permettano di trovare se stesso, di conoscere chi è e a che cosa è destinato.
Certamente, il ragazzo Gesù avrebbe potuto avvertire del suo allontanamento (almeno mandando un whatsapp o rispondendo alle chiamate; ma forse anche lui metteva sempre il cellulare in silenzioso come i nostri figli...), ma non lo fa e da questo si vede che, anche se è Gesù, ha pur sempre dodici anni. Anche i nostri figli sbagliano, fanno scelte non sempre sane o condivisibili da noi genitori, ma le fanno mossi dallo stesso fine: cercare se stessi, capire chi sono, che cosa ci stanno a fare su questa terra, qual è la loro missione e, a volte, per capire questo devi suonare fuori dallo spartito, combinarla grossa.
Ovviamente anche noi, come Maria e Giuseppe, ci preoccupiamo per loro, vogliamo sapere dove sono, con chi sono, se quello che stanno facendo è buono per loro oppure no. È giusto che sia così, questa preoccupazione è anche un segno del nostro amore, anche se a loro sembra solo una «rottura» gratuita. Come dico spesso a mio figlio: «Se ti lasciassimo fare tutto quello che vuoi, anche per noi la vita sarebbe molto più semplice, più leggera, ma proprio perché ci teniamo a te, ti poniamo dei limiti». Anche Maria e Giuseppe avrebbero potuto aspettare Gesù presso la loro comitiva: prima o poi, probabilmente, sarebbe ritornato. Invece vanno a cercarlo, compiono un atto d’amore nei suoi confronti (e anche lui sembra un po’ scocciato di questo loro interesse).
Maria e Giuseppe lo cercano insieme: Giuseppe non resta a guardarsi la partita con gli amici o rimane al lavoro. Va in giro per tre giorni insieme con sua moglie. E nemmeno Maria finisce di chiacchierare con le amiche o di lavorare mandando suo marito da solo a cercare il figlio, con l’idea che «devi fare il papà e cantargliene quattro a quel ragazzino che si crede chissà chi». Si occupano del figlio insieme, perché anche questo è fare coppia. Lo ritrovano dopo tre giorni, perché tre sono i giorni della morte, al termine dei quali c’è la risurrezione. Per tre giorni non hanno saputo dove fosse, che cosa stesse facendo e perché. Al terzo lo ritrovano e Gesù dona loro una rivelazione sulla sua identità: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
Questo brano ci mostra che c’è un tempo in cui perdiamo i nostri figli, in cui non sappiamo dove sono (spesso anche solo metaforicamente) e navighiamo nell’angoscia genitoriale, ma se continuiamo a occuparci di loro, se non demordiamo nel cercarli e nel cercare di riallacciare con loro una relazione, ci sarà il terzo giorno, il giorno in cui loro risorgeranno a una nuova identità adulta, consapevoli della loro missione. E allora potremo tornare a gioire di una nuova relazione più adulta con loro. Io e Chiara attendiamo fiduciosi questo giorno. E voi?
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