Nostro figlio Isacco
«In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”. Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: “Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”» (Gen 22, 1-2.9.10-13.15-18).
Siamo genitori di tre figli che in questo momento hanno 15, 13 e 6 anni e in quanto tali ci chiediamo quale stato d’animo potesse avere Abramo mentre costruiva l’altare e collocava la legna che avrebbe dovuto servire per il sacrificio di suo figlio. Stai una vita ad aspettare un figlio, ti viene fatta una promessa che sembra non compiersi mai, studi tutte le soluzioni a questa sterilità fino a mettere incinta una tua schiava, nel momento in cui non ci credi più ti viene annunciato che tra un anno avrai un figlio, finalmente tua moglie resta incinta e si compie l’attesa. Appena però il ragazzo cresce un po’, il Padre Celeste, colui che ha compiuto la sua promessa, ti chiede di fare qualcosa di assurdo, d’incomprensibile.
Come hai fatto, Abramo, a fidarti di un Dio che ti dice di uccidere il tuo amato ragazzo? Ti vorremmo incontrare Abramo e chiederti come sei riuscito a domare le tue emozioni, i tuoi ragionamenti. Avrai pur pensato: «Questo è ingiusto… io non lo faccio...». Come hai fatto, Abramo, a gestire la tua paura, la tua delusione, la tua rabbia, il tuo senso d’ingiustizia? Come hai fatto a fidarti così ciecamente di quel Dio che sembrava prenderti in giro? Vorremmo capire, Abramo, ma facciamo fatica, perché noi per primi spesso non riusciamo a fidarci così ciecamente.
Eppure, ci sembra, che ancora oggi questo brano fondativo della piena alleanza tra Abramo (e con lui di tutta la sua discendenza compresi noi) e Dio, parli a noi genitori. Non è un caso che si espliciti che Abramo amava il suo figlio Isacco e che Isacco non era un bambino, ma un ragazzo. Perché per ogni genitore arriva il giorno in cui gli viene chiesto di sacrificare il proprio figlio unigenito, e ogni figlio è unigenito perché amato in quanto unico e originale anche quando ne hai 12 come i miei amici Marilena e Fabio. Spesso quel giorno coincide con quello in cui i nostri figli smettono di essere bambini «coccolosi», affettuosi, osannanti la nostra figura e diventano adolescenti.
Anche io e Chiara come genitori siamo chiamati dal Padre a sacrificare il nostro Isacco (che in realtà si chiama in un altro modo), a sacrificare su quell’altare il nostro figlio ideale e poter finalmente abbracciare e amare il nostro figlio reale. Questo sacrificio è necessario per poter uscire dall’idolatria dei nostri figli, dal nostro iperinvestimento affettivo, di tempo, di risorse, di proiezioni e aspettative su di loro. Dobbiamo sacrificare il figlio ideale che ci piacerebbe: appassionato dello studio e del sapere, sempre disponibile a dare una mano in casa e ad aiutare con i lavori domestici, che si rapporta sempre in modo educato e cordiale con noi genitori riconoscendo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per lui, che abbraccia la fede e frequenta volentieri la Messa partecipando alla vita della comunità, sempre pieno d’iniziative e che non spreca il suo tempo tra cellulare e videogame, ma leggendo… Ogni genitore, immaginiamo, troverebbe qualcos’altro da aggiungere a questa lista già così corposa.
Non che le cose che auspichiamo per i nostri figli non siano buone, certamente lo sono, e le desideriamo di sicuro perché, come Abramo, amiamo i nostri ragazzi, ma la questione qui è che l’unico figlio che possiamo amare non è quello ideale, che non esiste, ma quello reale, che abbiamo davanti e che tanto ci scomoda e che ci chiama a uscire da noi stessi per incontrarlo e amarlo lì dov’è, a partire da com’è. Di conseguenza, non possiamo sacrificare il figlio reale sull’altare di quello ideale, il Padre ci ferma dal fare questo, perché vuole che noi genitori sacrifichiamo solo l’immaginario idolatrico di nostro figlio e non nostro figlio. Abramo ricorda a me e a Chiara che, indipendentemente da come siano i nostri figli, noi possiamo amarli solo per quello che sono e non per quello che dovrebbero essere.
Questo non significa rinunciare al nostro compito di accompagnarli in un’autoanalisi e in una crescita rispetto a scelte e assunzioni di responsabilità. Non dobbiamo smettere di spronarli a camminare nel sentiero della loro vita dando il meglio di sé, indicando loro quella bellezza di cui noi per primi siamo discepoli. Però questa opera educativa può essere compiuta solo partendo da un’accettazione incondizionata della realtà di ciò che essi sono, soprattutto delle loro imperfezioni. Abramo ci insegna a fidarci dei piani apparentemente illogici di Dio anche sui nostri figli, perché è Lui la stella Polare, il riferimento, non noi o le nostre aspettative. Caro lettore, cara lettrice, fratello e sorella nella fede, fidiamoci fino in fondo del desiderio del Padre sulla nostra genitorialità e «Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
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