La città del sole
«Nella terra d’Egitto ci sono cinque città, cioè i cinque sensi del corpo. Di queste cinque città, la prima si chiama città del sole. Città del sole sono gli occhi. Come infatti il sole illumina tutto il mondo, così gli occhi illuminano tutto il corpo» (Sermoni – Domenica III di Quaresima, 16).
Dichiarazione bellissima: «Città del sole sono gli occhi». Viene voglia di tenerla a mente. Pare un proverbio luminoso. Fa pensare a sguardi scintillanti, a spazi urbani pieni di luce. Sant’Antonio sta commentando un passo biblico e descrive cinque città che, in Egitto, imparano una lingua nuova, per esprimere in modo simbolico il passaggio dal vizio alla virtù. Lingua vecchia è il vizio, nuova invece quella parlata con la virtù. Le cinque città rappresentano i nostri sensi e, quanto alla vista, l’associazione è immediata: è la città del sole. Il mondo monastico medievale – attraverso la voce di grandi maestri come san Bernardo di Chiaravalle – manifesta non di rado un certo sospetto nei confronti degli occhi. Subito saremmo spinti a giudicare male un tale orientamento: «Che oscurantismo! Che ostilità nei confronti del mondo visibile! È tutto così bello!».
In realtà, se leggessimo bene i testi di questi autori, scopriremmo che lo sguardo viene considerato con prudenza. Non con svalutazione. Il problema non sono gli occhi, non è il guardare. Un gran bel dono, questo! Il punto critico è semmai la curiosità intesa come istinto incontrollato di guardare tutto e tutti, in maniera vorace e sconsiderata. La saggezza spirituale del Medioevo sapeva che gli occhi sono una porta spalancata sulla realtà, un ingresso che fa entrare di tutto nel nostro spirito; e questo non può rimanere invariato. Ne viene influenzato, modificato, attirato o strattonato in direzioni diverse. Non si tratta di oscurantismo pessimista, ma di realismo.
Non si può guardare di tutto e credere che ciò sia ininfluente sulle nostre scelte, sul nostro agire, sulla nostra vita. Forse noi siamo più inclini a darci il diritto di aprire gli occhi sempre e comunque: «Che male c’è? Perché non guardare? Tanto poi decido io, scelgo io ciò che voglio fare». Non è così. Ogni nostra scelta, ogni nostro comportamento viene inevitabilmente influenzato anche da ciò che vediamo. Crediamo di poter fare entrare in noi qualsiasi cosa attraverso la porta degli occhi, immaginandoci padroni di noi stessi indipendentemente da come impieghiamo i nostri sensi. Gli occhi sono invece un gran canale. Sì: un «Canal Grande» che, lasciando passare le più diverse immagini, intercetta l’immaginazione, ridesta affetti, fa sorgere voglie e desideri. Realistico poterci dire che non ogni voglia e desiderio sono salutari e buoni; alcuni fanno male e oscurano. Magari attraggono, ma incatenano. Mettono nell’animo le tenebre, non il sole.
Sant’Antonio si colloca esattamente in questa prospettiva: se la «città degli occhi» non è istintiva e curiosa ma si lascia guidare da umiltà e semplicità, allora tutto il nostro corpo sarà nella luce. Sì, il nostro corpo va accudito sotto il profilo della salute fisica, curato nella bellezza esteriore, educato nella dignità degli atteggiamenti. Ma va anche custodito mediante il sole di sguardi sapienti e occhi luminosi, per mantenerlo capace di scelte felici. Per renderlo responsabile del suo destino eterno.
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