La forza dello spirito
Un altro anno si conclude, e purtroppo le violenze e le guerre non solo non si spengono, ma si intensificano. Tramontato il sogno (o l’ideologia?) della globalizzazione, di un mondo senza confini, ci ritroviamo a combattere per le sovranità territoriali, ad alzare muri: nel mondo se ne contano 70, 40 mila chilometri di recinzioni, pari alla circonferenza della Terra. I confini uniscono e dividono insieme, ma i muri dividono e basta, trasformando i vicini in nemici. Anche la nostra mente si struttura in questa forma semplificata e riduttiva: di qua/di là, amico/nemico. Dove chi sta dall’altra parte ha torto per definizione, e ogni premessa di dialogo (dia-logos, parola che aiuta a superare le distanze, a gettare ponti) viene neutralizzata o derisa.
In questo clima i credenti hanno una parola diversa da portare? O cedono alla tentazione dello schieramento? Mai come oggi c’è bisogno di una parola lievito, che faccia crescere, come scriveva Calvino «ciò che inferno non è». Una parola di speranza che sia concreto e costruttivo lavoro per rigenerare le condizioni della convivenza umana, in un tempo tanto difficile. La buona novella di un bambino nato in esilio, con una mangiatoia come culla, che si è fatto carne per salvare il mondo ci illumini. Così come ci scuotano le parole di padre Turoldo: «Io voglio sapere / qual è il potere di resistere, / se sopravvivrà ancora l’amore, se pure è mai esistito. / Se esiste una forza salvatrice e se nasce a Natale; / che almeno la Chiesa non sia la tomba di Dio, / l’ultima sconfitta dell’uomo. Io voglio sapere / se la pace è possibile / se la giustizia è possibile / se lo spirito è più forte della forza».
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