La madre del figliol prodigo
Le parabole evangeliche sono piene di ispirazioni anche per la vita economica e civile. Pensiamo alla bellissima parabola del Figliol prodigo (o del Padre misericordioso). Luca ci presenta un padre e due figli, un maggiore e un minore. Un uomo benestante, un’azienda famigliare, forse agricola. Il figlio più giovane non vuole continuare il progetto paterno. Lascia, e chiede al padre la sua «parte di eredità». Il padre poteva non dargliela, perché la tradizione ebraica non consentiva a un figlio di chiedere l’eredità con il padre ancora in vita, e perché in quelle culture antiche il padre era il padrone di tutto. E invece lo lascia andar via, con parte del patrimonio di casa. Fa diventare i beni di famiglia patrimonio, cioè il dono (munus) del padre. Questo primo atto è decisivo, è questa libertà donata al figlio il suo primo gesto misericordioso. Perché i figli non devono sentirsi condannati a continuare «l’impero» dei genitori o nonni. Possono farlo, ma non devono. E invece i ricatti impliciti, le aspettative sono spesso dei lacci che bloccano figli e figlie, e impediscono loro di spiccare un volo libero. Il destino dei figli non deve essere determinato da quello dei padri. E, se accade, siamo dentro una forma di incesto, dove i genitori si mangiano il futuro libero dei figli. Quel padre genera il figlio più giovane alla vita adulta e quindi alla libertà.
Il figliol, nella parabola, fa un uso sbagliato dei beni ereditati. Anche questo fa parte del rischio della paternità. Non c’è paternità senza la possibilità che i figli si perdano inseguendo la loro vita e la loro libertà. Perché se non diamo loro la possibilità di diventare peggiori di noi, non saranno mai nemmeno migliori di noi, perché mancherebbe quella libertà vera, essenziale per diventare persone autentiche e belle. Il fallimento possibile è l’altra faccia della libertà. E invece troppe volte le imprese famigliari falliscono perché i genitori mettono sulle spalle dei figli pesi troppo pesanti, e un giorno il progetto esplode sotto quel peso che cresce sempre più; se, invece, avessero venduto l’azienda, questa sarebbe cresciuta in altri terreni e avrebbe portato nuovi frutti. La castità dei fondatori è essenziale per far sopravvivere ogni impresa.
Infine, nella parabola di Luca non si parla della madre. Non viene menzionata, e con lei è assente nella storia qualsiasi sguardo femminile. Se ci fosse stata una madre, la storia sarebbe stata certamente diversa. Intanto avremmo visto che mentre il padre dialogava col figlio più piccolo sull’eredità, la madre gli stava già preparando una borsa con dentro una tunica, una coperta, dei sandali e certamente del cibo – le madri non lasciano mai partire un figlio giovane senza un po’ di cibo buono –. E poi avrà fatto di tutto per sapere dove era finito e come stava, e non avendo notizie lo avrebbe atteso ogni giorno, come e diversamente da suo marito. E il giorno del ritorno non avrebbe partecipato al banchetto col vitello grasso (perché le donne non erano invitate), ma avrebbe dedicato tutto il tempo a preparare il figlio maggiore ad accogliere e a non giudicare il fratello, e poi sarebbe andata nel tempio o in un altare a ringraziare Dio per quel ritorno tanto desiderato. E dopo aver abbracciato il figlio, dopo averlo rimproverato per tutto quel silenzio (le madri sanno rimproverare diversamente i figli), avrebbe pianto molto. E poi lo avrebbe amato ancora di più, perché sapeva che quel figlio più fragile poteva ripartire in ogni momento per altri porcili, perché le donne sanno che non basta un banchetto per curare ferite profonde. E avrebbe continuato a pregare, ad amare, a sperare per tutto il resto della vita.
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