Apprendere è un volo d’ali

Perché tanti bambini hanno difficoltà a scuola e a volte addirittura la rifiutano? Camillo Bortolato, maestro e inventore del Metodo analogico, ci guida nel modo di apprendere dei piccoli.
07 Novembre 2024 | di

Ha passato una vita a dedicarsi ai bambini e alle bambine, il maestro Camillo Bortolato, l’inventore del Metodo analogico, un metodo che mette le ali all’apprendimento dei più piccoli, sollecitando il loro innato senso di meraviglia e la loro facilità di conoscere divertendosi. Una passione che ha plasmato anche lui: un modo di porsi semplice e diretto, la capacità di stupirsi e di gioire per ogni successo di maestri e bambini, un linguaggio ricco di immagini e analogie, quelle che superano la logica e vanno dritte al cuore. Stupisce che un uomo così importante per il futuro di tanti bambini preferisca il silenzio al rumore, il lavoro di ricerca continua piuttosto che la ribalta degli specialisti: una fatica non diversa da quella di un programmatore di software, che studia senza sosta in solitudine per consegnare all’utilizzatore l’interfaccia più semplice e intuitiva. 

Il suo linguaggio di programmazione è l’amore per questi piccoli, la paura che si perdano la magia di apprendere in modo naturale, approfittando di quel periodo della vita in cui tutte le facoltà, le capacità e le emozioni viaggiano a mille. Ha iniziato con l’apprendimento della matematica, che per noi italiani è un osso duro, per continuare con la lettura e la scrittura, e ora ha esteso questa possibilità di apprendimento a ogni materia, dalla storia alla grammatica. Ha creato per questo una serie di strumenti, libri e manuali per bambini e insegnanti.

Msa. Perché tanti bambini hanno difficoltà a scuola?

Bortolato. Perché i bambini che nascono nell’integrità delle loro capacità sono come degli uccellini che guardano dall’alto e vogliono vedere tutto. Ma a scuola perdono le ali, perché insegniamo loro un numero alla volta, una lettera alla volta, che è come camminare al posto di volare. Loro vorrebbero vedere il panorama intero. Con l’apprendimento goccia a goccia, muoiono di sete. Vengono spenti perché questa modalità è opposta al loro modo naturale di apprendere. 

E perché continuiamo a farlo?

Perché l’apprendimento len­to è frainteso, si pensa che la gradualità sia un atto d’amore per loro che sono meno di noi, e invece loro sono più di noi, perché non temono la complessità e il mistero. A scuola si annoiano, e quando si distraggono è come se cercassero il telecomando per passare avanti, perché vorrebbero vedere tutto e subito. Sono abituati alla velocità. A casa apprendono velocissimi mentre a scuola fanno fatica, perché la scuola è il regno del verbalismo, mentre la casa è il regno delle immagini, molto più affini al loro modo di apprendere, così come lo sono le icone di un computer.

E l’apprendimento come avviene?

Avviene spontaneamente quando i bambini hanno tutti gli elementi a disposizione: non lo si può imporre. La comprensione arriva da sola, perché i bambini, come gli gnocchi, vengono a galla, uno per uno, quando c’è il giusto calore della condivisione.

Perché noi italiani troviamo troppo ostica la matematica?

Perché si ignora il calcolo mentale in cui i bambini sono potentissimi, tutti, indistintamente. Viene loro naturale, perché questo tipo di calcolo è fondato unicamente sulle immagini delle quantità e sul riferimento alle dieci dita della mano, ed è tutto intuitivo. Purtroppo, in prima elementare ci intestardiamo sulle cifre che per loro rischiano di essere «gusci vuoti». È un abbaglio mentale di noi adulti, accecati dal predominio della logica; le quantità servono per il calcolo mentale quanto i numeri, intesi come cifre, servono per il calcolo scritto, per cui se all’inizio dell’apprendimento confondiamo le cose, li disorientiamo. La didattica iniziale, purtroppo, si rivela una disquisizione linguistica sulle cifre in termini di unità, decine e centinaia e valore dello zero. Il calcolo mentale, regno dell’ingenuità e della semplicità, è messo da parte. Eppure basterebbe osservare quanto siano competenti nel calcolo mentale quei bambini che vanno al mercato, per capire che «vedere» pomodori e peperoni invece di cifre fa la differenza. L’attenzione esclusiva al calcolo scritto rende i bambini ciechi. La nostra grande fortuna è che, da soli, in moltissimi casi, i bambini riescono a oltrepassare i limiti della scuola e a imparare lo stesso.

In che cosa consiste allora il suo Metodo analogico?

Vorrei precisare che la parola metodo non mi pare appropriata, perché ho solo cercato di comprendere quale fosse il modo naturale di apprendere dei bambini e creato una didattica cucita su di loro, prima con la matematica poi in tutte le materie. Se ci fosse un «metodo» per apprendere l’uso del computer, i bambini avrebbero detestato questo strumento. La base di tutto è l’immagine e l’analogia. Per esempio, nell’italiano presento tutto l’alfabeto da subito, mediante un abbecedario che comprende anche i suoni più complessi come «chi» o «gli». Agisce come una tastiera evoluta di un computer, in modo che i bambini abbiano subito uno sguardo d’insieme e possano mettersi immediatamente in gioco, digitando sui tasti. In questo modo trasformo l’apprendimento goccia a goccia in un apprendimento a pioggia. Di fronte a una proposta di questo tipo, più affine al pensiero infantile, nel bambino sboccia la meraviglia e con essa il desiderio di lanciarsi nella magia dell’apprendimento. C’è chi riesce a imparare a leggere in un giorno. Il mio approccio non è una novità, nel tempo ho scoperto che Paesi come Germania o Finlandia fanno le cose come me.

Noi ormai adottiamo da decenni il metodo delle lezioni frontali: il maestro parla, il bambino ascolta. Perché le troppe parole, invece di aiutare, confondono i bambini?

Le parole sono solo evocative della realtà, non sono la realtà. Il bambino si sforza di capire che cosa il maestro o la maestra vogliano da lui e intanto aspetta che suoni la campanella. L’apprendimento in realtà non lo puoi inculcare, è un fenomeno che non avviene nello stesso modo per tutti. Non servono troppe parole, servono i giusti strumenti e la presenza di una maestra o un maestro e di un genitore, che stiano accanto, di supporto quando serve, in attesa che l’apprendimento fiorisca. Io ho sempre voluto essere il maestro che parlava di meno. 

A un certo punto, però, l’apprendimento diventa anche fatica.

Bisogna fare delle distinzioni: per esempio, leggere è diverso da scrivere. All’inizio leggere è immediato, libero; imparare a scrivere, al contrario, esige una trasformazione di sé perché è un lavoro faticoso, a cui si arriva lentamente. Scrivere a mano significa accogliere la sofferenza di andare avanti millimetro dopo millimetro. Gli adulti devono saperlo e sostenere i bambini, aiutarli a capire che il bene è intrecciato con la fatica. Invece la scuola mescola i due obiettivi, come fossero la stessa cosa, creando sofferenza, senso di inadeguatezza, rifiuto.

Come si può riformare la scuola, perché sia più affine ai bambini?

Basterebbe che fosse restituito il tempo soffocato dagli adempimenti burocratici per ridare la possibilità di concentrarsi di più sul modo di fare scuola in classe. La scuola si cambia insegnante per insegnante, preside per preside, istituto per istituto; non credo ai transatlantici delle grandi riforme, ma a tante barchette in continua sperimentazione per amore dei loro allievi. Ho uno slogan personale in materia: non voglio cambiare la scuola, voglio cambiare la mia classe se sono capace, voglio che sia una cellula sana in un organismo che sta male. Ma questa scelta è anche una forma di solitudine.

Si è sentito spesso solo in questa missione?

Ho scelto in partenza la solitudine della ricerca, perché bisogna accettare di rimanere sospesi, accogliere di essere vulnerabili, in difficoltà, senza rifugiarsi nelle teorie che promettono certezza. Quando poi riesci a trovare te stesso, a quel punto ritrovi tutti. Poi, piano piano, molti insegnanti mi hanno raggiunto nel mio deserto. Senza tante parole, siamo entrati in sintonia con la nostra interiorità, gli studi comprovanti sono venuti dopo. Davanti a ogni classe, ogni maestro ha una responsabilità personale di dare il meglio ai suoi alunni.

Perché lo fa, accettando la fatica di andare controcorrente?

Perché sono stato un bambino sensibile e piuttosto timido e vorrei dare ai bambini un’umanità che a suo tempo non è stata data a me. C’è a scuola una montagna di consuetudini costruita sulla spinta del potere e non dell’amore.

Che cosa la emoziona di più in questo suo percorso?

Quando vedo lo stupore degli insegnanti e dei genitori a casa, i quali, usando questi strumenti, si sentono sollevati. Allora mi sento sollevato anch’io dall’aver percorso una strada tanto diversa. Non immaginavo che potesse succedere una cosa così eclatante e diffusa. 

Nel Vangelo c’è scritto: se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli. Lei come la legge?

È un pensiero che si attaglia perfettamente al metodo analogico, il cui scopo è di ridare le ali a tutti i bambini, per permettere loro di entrare nel cielo della conoscenza. Il loro modo di apprendere, attraverso la visione dall’alto, senza perdersi nella troppa analisi, è il modo migliore di tutti ed è il segreto dei poeti, dei pittori, degli inventori e dei santi, quello di essersi conservati «come bambini». 

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Data di aggiornamento: 07 Novembre 2024

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