La (non) libertà dei ricchi
La ricchezza è un tema sensibile. La piccola parabola del cammello e dell’ago si è conficcata nel nostro cuore ed è una spina difficile da togliere. Gli esegeti ci hanno spiegato che la cruna forse non è quella dell’ago ma una porta di Gerusalemme, dalla quale non potevano passare i cammelli se non senza carico e piegati sulle ginocchia. E allora l’immagine è subito meno drastica. O forse, dicono, è un errore di trascrizione e invece di cammello va letto «grande fune» e anche qui chiunque può vedere che è difficile ma non impossibile che una fune passi per la cruna di un ago una volta sfilacciata opportunamente. Poi però arrivano altri esegeti che confutano ragionevolmente tutte le interpretazioni e dicono no, Gesù ha usato un’espressione comune del luogo e del tempo e proprio quello voleva dire, utilizzando immagini che tutti potevano riconoscere e capire.
Comunque si intendano il cammello e l’ago, è evidente che per i ricchi la via della vita eterna è così difficile da sembrare impossibile e, dal momento che queste parole di Gesù chiudono l’incontro con il giovane ricco che se ne va triste perché non sa rinunciare ai propri beni, si può essere certi che la ricchezza è vero impedimento alla realizzazione del proprio desiderio onesto e profondo di avere la vita eterna. Oggi vediamo che la ricchezza diventa sempre più spesso immediatamente anche potere politico che si accompagna incredibilmente al disprezzo verso chi è povero, verso chi «non ce l’ha fatta», come si dice. Eppure, la storia ha conosciuto un lungo percorso di separazione del potere politico dalla ricchezza personale, semplicemente perché la politica è al servizio del bene comune e la ricchezza pretende per sé una dedizione assoluta. È questo il senso dell’altro detto spinosissimo e poco equivocabile di Gesù: «Non potete servire Dio e Mammona» (Lc 16,13) dove il verbo «servire» è quello che conta. Il denaro chiede di essere servito, sia quando lo si accumula sia quando lo si gestisce. La testa è lì. E anche il cuore: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina... Perché dove è il vostro tesoro là sarà il vostro cuore» (Lc 12,33ss). Lasciare le proprie ricchezze diventa insieme atto di giustizia verso i poveri e di amore verso Dio che è il Dio dei bisognosi e degli oppressi. Non si tratta di essere tutti poveri per forza, ma di poter essere sempre dalla parte dei poveri, «liberi», questa è la parola, liberi di alzare la voce per i poveri.
La ricchezza è sempre qui e ora. Si tratta di denaro, case, gioielli, oggetti che oggi ci sono e domani chissà, comunque non per sempre, non per noi che ce ne andremo, anche oggi potremmo dover andarcene e comunque un giorno lo faremo. E allora ecco, la ricchezza che accumuliamo è una zavorra per la nostra speranza che è promessa di eternità, dopo, e di abbondanza smisurata ma, come dire, donata, ricevuta senza ingiustizia. A Pietro che fa presente come abbiano lasciato tutto per seguirlo, Gesù risponde che avranno «cento volte tanto» (Mt 19,29). Insieme a persecuzioni, precisa subito nel testo parallelo di Marco, e però nel futuro la vita eterna.
La consueta vertigine del parlare di Gesù. Mentre le ricchezze materiali, accumulate spesso con dolore e ingiustizia, non possono niente per aggiungere un giorno a quelli segnati per noi, e ci inchiodano alla nostra paurosa dipendenza dai beni materiali, nella povertà amata e scelta dal Signore si trovano ben salde la nostra forza e la vita, anche eterna. Troppo? No, perché anche questa promessa è già qui e ora.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!