La vita è l’arte dell’incontro
Il Vangelo è il grande libro degli incontri. Moltissimi di questi cambiano limpidamente la storia delle persone. L’Angelo incontra Maria e niente è più come prima nella storia di lei, di Giuseppe, degli ebrei e del mondo. Simeone incontra un Bambino e dichiara la fine dell’attesa propria e di un popolo. Gesù incontra gli apostoli, guarisce i malati, parla alle folle, che lasciano case e paesi e lo seguono, trasformati.Â
Poi ci sono gli incontri che cambiano Gesù. Ci abbiamo messo un sacco di tempo a riconoscerlo. L’idea che Gesù potesse cambiare, davvero cambiare la propria rappresentazione del Regno, cambiare idea sulla sua predicazione, sulla volontà di Dio, ci sembrava impossibile. Ma come? Se è davvero Dio non cambia. Dove la domanda giusta poteva essere: ma come? Se è davvero un uomo, cambia. C’è voluta la libertà , la vera libertà della teologia per poterlo dire.Â
Nell’incontro con la donna Cananea che chiede la guarigione della figlia (Mc 7, 24-30 e Mt 15, 21-28) Gesù modifica la sua idea nell’arco di un brevissimo scambio di battute. È qualcosa di splendido e di esemplare circa la natura profonda dell’incontro. Non serve che sia lungo, che ci sia una storia piena di fatti e giorni da raccontare. È una specie di silenzioso, intimo, carsico colpo di fulmine. Un reciproco riconoscimento. Carsico perché non arriva dal niente ma dalla libertà che è la nostra più autentica divina vocazione.
La Cananea ascolta la predicazione dell’amore e da donna che ama sa che è anche per lei, è così sicura che obietta, contesta. Gesù ascolta la donna, per davvero, anche se pensa di sapere già tutto quello che deve sapere su di lei, e cioè che è pagana e quindi esclusa dall’annuncio. Ma la ascolta, capisce che la donna ha ragione, e lui è libero e cambia. La donna è andata da lui e cambia la direzione dell’annuncio.Â
Nell’incontro c’è sempre un movimento. Se tutti stiamo fermi, non ci si incontra per niente. È chiaro che si può star fermi in tanti modi. Ce lo mostra, anche qui limpidamente, la più laica (umana) delle parabole, quella del buon samaritano (Lc 10, 29-37). Passano il sacerdote e il levita, vedono l’uomo ferito, e si muovono eccome, cambiano lato della strada, ma sono immobili dentro, cementati nella durezza del loro proposito di non essere coinvolti. Passa il samaritano, gli passa accanto e ne ha compassione, «gli si fa vicino», accetta l’incontro e cambia la storia.
Nella storia gli uomini hanno sempre avuto paura del movimento, perché porta il cambiamento. E che dire della paura che abbiamo oggi del movimento dei movimenti? Dei migranti? Lo scorso anno 79,5 milioni di persone sono state costrette a lasciare la propria terra per sottrarsi a guerra e povertà (dato delle Nazioni Unite). Si prevede che entro il 2050 le persone che dovranno migrare per motivi ambientali saranno tra i 50 e i 250 milioni (dato dell’IPCC, l’organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti del clima).
Sono cose che si devono sapere, per alzare lo sguardo e fare le scelte politiche di giustizia, di sobrietà verso la Terra e le risorse. Ma non c’è numero che possa cambiare il nostro cuore. Ce lo dice il Vangelo: è la libertà dalla paura che ci permette di cambiare e quindi vivere. Anche adesso che siamo confinati incontriamo sui giornali e sugli schermi la meraviglia e la miseria del mondo. Che Dio ci salvi dal cambiare lato della strada, dal chiudere a chiave le nostre emozioni e il nostro cuore perché abbiamo le nostre idee, perbacco, e le nostre sacre convinzioni.Â
La vita è l’arte dell’incontro, canta il poeta brasiliano Vinicius de Moraes in un bellissimo verso della Samba delle benedizioni. Benedizioni.
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