Mario Rigoni Stern
Lassù ad Asiago, sull’altipiano dei Sette Comuni, tutto parla ancora del grande autore de «Il sergente della neve». La panchina e il tavolo di legno tra gli alberi sotto casa, dove nella bella stagione Rigoni Stern accoglieva i visitatori, sono sempre lì. Manca solo la betulla: è stata tagliata lo scorso novembre perché malata. L’aveva piantata lui, era uno dei suo alberi preferiti insieme al larice.
Tra la casa, il bosco e il paesaggio intorno, la presenza si avverte più forte che mai, specie quando si cammina in silenzio. Di più se a tracciare una biografia come questa, per molti versi inedita proprio come le tante foto, finora mai pubblicate, concesse dalla famiglia, è qualcuno che con lui si è fermato a parlare; che, insieme all’uomo di montagna, ha percorso sentieri e salite; che di Mario, prima di tutto, era amico come Giuseppe Mendicino.
Segnato dalla guerra e dalla prigionia in un lager tedesco, tornato a baita Rigoni Stern inizia a raccontare le sue esperienze in uno stile onesto e pulito, per non dimenticare. Autore di conosciutissimi e premiatissimi libri, tradotti in 17 lingue, ha sempre mantenuto il legame etico del suo essere montanaro, solido e coerente, verso la natura, contro le ingiustizie e le prepotenze.
Muore il 16 giugno 2008, nella sua Asiago. «Se n’è andato, ma non è scomparso ‒ racconta Mendicino ‒. Quando ci fermiamo a guardare una meraviglia della natura o un suo piccolo fuggevole dettaglio, quando siamo incerti su una decisione che mette in gioco il nostro codice etico, quando ci chiediamo quale sia davvero il senso del nostro vivere inquieto, ricordarlo, leggere le sue pagine, può farci sentire meno soli. È questo il suo ultimo dono».