Pellegrino di giustizia e pace
Papa Francesco è la dimostrazione vivente che la gioventù non è un qualcosa di necessariamente anagrafico. Sebbene sia avanti negli anni, nel corso del suo recente viaggio nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan (31 gennaio – 5 febbraio 2023) ha confermato d’essere straordinariamente carismatico. Da tutti i punti di vista: sia come pastore della Chiesa universale sia come difensore della Res publica dei popoli. Nel suo terzo viaggio nella macroregione subsahariana, la sua è stata una predicazione profetica, da vero pellegrino di pace. Non solo, infatti, ha infuso coraggio e speranza cristiana a tanta umanità dolente che sopravvive in quelle che egli stesso ha definito le periferie del mondo, ma ha anche indicato dei percorsi di riscatto e cambiamento alla luce della Parola di Dio e del suo magistero.
Lungi da ogni retorica, Jorge Mario Bergoglio è riuscito magistralmente a mettere ognuno dei suoi interlocutori di fronte alle proprie responsabilità, stigmatizzando le ingiustizie e le sopraffazioni del passato e quelle attualmente in atto. Riferendosi in particolare all’ex Zaire, ha biasimato l’inganno: «Si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti… un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca».
In particolare, senza se e senza ma, ha denunciato lo sfruttamento delle commodity (materie prime), fonti energetiche in primis, per le quali tanta povera gente viene quotidianamente immolata sull’altare dell’egoismo umano. «Riempie di sdegno sapere – ha detto incontrando a Kinshasa le vittime della violenza nel settore nord orientale della Repubblica Democratica del Congo – che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi… Si tratta di conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case, provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare. Sono lotte di parte in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio. Ma è, soprattutto, la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!». Vale per gli scaltri rapinatori del mondo ricco che hanno in testa solo la massimizzazione dei profitti, ma anche per quelle leadership africane corrotte, che svendono ai potentati stranieri più o meno occulti le ricchezze del sottosuolo, alimentando il cosiddetto nuovo colonialismo.
Dignità, non solo reddito
Papa Francesco, andando al di là delle consuete suggestioni terzomondiste, ha fatto intendere che comunque non bastano le buone pratiche da sole, quelle infarcite di pietistici interventi umanitari. Francesco ha sì esclamato «Giù le mani dall’Africa!», ma ha anche impartito una lezione, per certi versi dura, pesante e fastidiosa, ma soprattutto alternativa al codice di chi guarda ai poveri dall’alto verso il basso, con fare altezzoso e buonista. Emblematica è stata la citazione di un Padre della Chiesa africano, sant’Agostino, presa dal De Civitate Dei, un’opera considerata unanimemente come il primo grande saggio di teologia della storia: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (IV,4), spiegando poi che «Dio è dalla parte di chi ha fame e sete di giustizia (cfr Mt 5,6). Non bisogna stancarsi di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità, contrastando l’impunità e la manipolazione delle leggi e dell’informazione».
E qui è emerso a chiare lettere il ruolo importante delle Chiese cristiane – cattolica in primis – in quanto sia nell’ex Zaire, come anche nel Sud Sudan, rappresentano l’espressione più alta della società civile. Queste forze vive hanno il compito di contrastare quei personaggi che consapevolmente si arricchiscono sulla pelle dei poveri, deprivandoli non solo di denaro e di cibo, ma anche di istruzione, di sanità, di opportunità, di pace, perché la povertà non è solo questione di reddito, ma di qualità della vita. Contrastando la globalizzazione dell’indifferenza, Francesco si è spinto fino a dettare l’agenda politica con l’indicazione di una globalizzazione multilaterale, che funziona nella misura in cui ognuno viene messo nelle condizioni di poter godere i benefici della «Casa Comune» ben illustrata nella sua enciclica sociale Laudato si’.
Particolarmente toccante è stato l’incontro di preghiera per la pace in Sud Sudan, assieme all’arcivescovo di Canterbury e primate anglicano Justin Welby e al moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia Iain Greenshields. Ciò è stato reso possibile anche per l’impegno delle Chiese cristiane riunite nel South Sudan Council of Churches (SSCC) la cui attuale missione copre l’educazione civica, la pace e la riconciliazione, oltre a programmi di sviluppo. Un modo davvero profetico per testimoniare, in chiave ecumenica, i valori del Regno. Il punto di partenza di papa Francesco rimane comunque la comune appartenenza alla famiglia umana, riconoscendosi tutti fratelli perché figli e figlie di un unico Creatore, dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso «nessuno si salva da solo».
È evidente che il Sud Sudan è un Paese nato male, perché nel momento in cui è stata sancita l’indipendenza, nel 2011, a seguito di una consultazione referendaria, esso non disponeva ancora di veri e propri partiti, tranne il braccio politico del movimento ribelle che per decenni aveva combattuto contro il regime di Khartoum, il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan (Mpla). La mancanza dunque di una vera e propria classe dirigente ha fatto sì che s’innescasse una guerra civile tra le varie etnie, causando morte e distruzione. Nessuno dispone di una sfera di cristallo per prevedere quelli che saranno i futuri sviluppi in questo Paese che galleggia sul petrolio e in cui i trafficanti di armi – condannati severamente dal Papa – fanno affari da mattina a sera. Uno scenario di fronte al quale la comunità internazionale non può stare alla finestra a guardare.
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