Reimparare l’empatia
Insegnare a guadagnarsi il cuore degli altri, rompendo la fatale barriera di diffidenza e disinteresse che spesso avvolge le relazioni. Un obiettivo educativo già indicato da san Giovanni Bosco più di 200 anni fa. Il grande santo torinese amava ricordare che «l’educazione dei figli è cosa del cuore, e che solo Dio ne è il padrone, e noi non riusciremo a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne dà in mano le chiavi». Un insegnamento che oggi deve far breccia soprattutto nella vita dei nostri ragazzi, per i quali, talvolta, altruismo e generosità sembrano concetti sbiaditi. Quello salesiano diventa allora un metodo educativo ricco di insegnamenti anche in un’epoca povera di spiritualità come la nostra, dove sembra dominare l’indifferenza verso il prossimo. Perché, come diceva don Bosco, l’educazione forgia la comunità in cui viviamo: «Dalla buona o cattiva educazione della gioventù dipende un buon o triste avvenire della società».
Primo impegno dell’educatore, secondo il santo, è quindi aiutare il giovane a cambiare il contesto in cui vive, cercando di allontanarlo dalla «miseria spirituale e superficialità d’animo». Parole profetiche in un tempo segnato da episodi di cinismo gravissimi, perpetrati proprio dai più giovani; una gioventù che a tratti sembra annoiata, che cammina a occhi bassi, trasformando in passatempo le ingiurie e le violenze ai passanti, soprattutto se disabili, stranieri o anziani. Che arriva addirittura a uccidere gli amici per un presunto sgarbo. Adolescenti che, in alcuni casi, sono incapaci di mettersi nei panni dell’altro e al contempo di guardarsi dentro.
Il dialogo è cosa del cuore
La noia e il senso di inadeguatezza che pervadono talvolta i nostri figli sono indizi di un qualcosa che manca già tra le mura domestiche: nessun modello educativo che conduca al cuore può funzionare, infatti, se non parte dalla famiglia, nella quale va ripristinato il valore della relazione, le regole sulle quali essa si basa, il senso di gratuità, la cura reciproca, il senso dell’essere famiglia. Un tema delicato, che ha destato l’interesse anche di un team di ricercatori americani, guidati dal professor Gustavo Carlo, docente di Psicologia presso la facoltà di Scienze ambientali dell’Università del Missouri. Il gruppo ha analizzato alcuni comportamenti tipici degli adolescenti, constatando una netta diminuzione della tendenza empatica soprattutto a partire dai 12 anni e senza grandi differenze, in questo, tra maschi e femmine. Allo stesso tempo, la ricerca ha messo a fuoco anche i fattori che renderebbero i giovani molto più altruisti, in particolare l’impegno in attività pro-sociali. A riprova che, come diceva don Bosco, nulla può essere considerato perduto: «In ogni giovane c’è un punto accessibile al bene: dovere primo dell’educatore è cercare questo punto, questa corda sensibile e trarne profitto».
Oggi più che allora, nonostante il mondo sembri pieno di possibilità di relazione, grazie al moltiplicarsi delle tecnologie della comunicazione, proprio le relazioni soffrono di più. Nel chiasso di fondo dei messaggi e delle interconnessioni in realtà domina il silenzio, la solitudine, l’isolamento. È questo il primo a dover essere spezzato, recuperando i rapporti «in carne e ossa», prima di tutto in famiglia. «C’è un profondo legame tra umanità e atteggiamenti sociali, quali l’impegno in attività domestiche e di volontariato – spiega il professor Gustavo Carlo –. Il primo passo verso la crescita consapevole deve partire dai genitori e segue proprio il messaggio di don Bosco». Già il fondatore dei Salesiani consigliava infatti di affrontare l’accompagnamento in adolescenza, prima di tutto accettando i giovani per ciò che sono, per poi focalizzarsi su proposte sempre più ricche di senso e coinvolgenti. «Per vincere l’indifferenza che regna sovrana serve necessariamente il sostegno di padri e madri che insegnino ai propri figli come fuggire dall’ozio o dalle compagnie sbagliate, evidenziando, al contrario, il bisogno di donarsi all’altro e mostrando interessamento verso i più fragili», spiega il professor Carlo. Ma l’educazione è «cosa del cuore» e stabilire un dialogo continuo risulta quindi fondamentale, specialmente se esso avviene tra genitori e figli, che già possiedono esperienze differenti di vita.
Il mezzo più potente per incoraggiare i propri figli è raccontarsi, senza vergogna. Non imporre nulla, quindi, ma condividere, è l’atteggiamento giusto che incoraggia i ragazzi, allenandoli a dare importanza ai sentimenti altrui. «È un cammino di crescita da fare insieme. Il genitore non deve apparire come una persona perfetta, che non sbaglia mai; al contrario, ammettere le sue imperfezioni è un punto nevralgico», continua il professor Carlo.
Il racconto di sé, infatti, diventa attraente e al tempo stesso educativo, proprio come affermava don Bosco: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; e se ascolta i maestri, lo fa perché sono anche testimoni». L’ambiente educativo perde allora quella faccia severa che potrebbe impaurire e far allontanare i giovani, trasformandosi in una rete di rapporti collaborativi e solidali. Avviene un cambio di passo, nella relazione: «Se la simpatia dice: condivido i tuoi sentimenti; l’empatia invece afferma: capisco i tuoi sentimenti. Bisogna fondare l’educazione sulla comunicazione, incentivando nei giovani l’ascolto e il prendersi cura dell’altro», ribadisce il docente. Raccontarsi e raccontare fin da quando i figli sono piccoli, costruisce da subito un rapporto immediato ed efficace: «In primo luogo, raccontate storie ai vostri bambini. Non soltanto favole. Parlate di voi, di come eravate da piccoli. Offrite aneddoti che narrino delle vostre delusioni, delle vostre sconfitte, per mostrare che queste fanno parte della vita e che si affrontano chiedendo aiuto. La regola più importante è dare l’esempio: solo allora il giovane imparerà a farsi prossimo dei suoi coetanei».
Educare alla vera amicizia
Si struttura così un processo di crescita nel quale più intenso diventa il valore dell’amicizia tra educatore e ragazzo, in cui le esperienze personali dell’adulto si trasformano in un messaggio educativo che apre al giovane nuove prospettive di vita. Don Bosco si rendeva difatti amico dei giovani per avvicinarli a Dio, guadagnando il loro cuore e affermando che per camminare verso un orizzonte di profondità spirituale fosse necessario «fare amicizia tra di voi e con il Signore».
Altro punto importante nella relazione educativa è modificare il contesto in cui il ragazzo si rapporta con gli altri: «La modifica dell’ambiente sociale incoraggia i ragazzi a esprimere la loro pro-socialità e in questo senso condivido la frase di don Bosco: “Lo so che sono molti i cattivi compagni e vi raccomando caldamente di fuggirli”», confida il professor Carlo. Ma in una società che vede l’empatia come un segno di debolezza, si finisce allora per soffocare negli adolescenti quel sentimento amichevole che potrebbe essere innato e, di conseguenza, la possibilità di mettere in atto comportamenti altruistici. «Capita spesso che se in un giovane l’atteggiamento empatico risulta naturale, l’adattamento ad alcuni contesti culturali ne impedisca l’espressione, proprio per non sentirsi diversi dalla massa». Gesti che sollecitino la sopita empatia diventano quindi fondamentali, come il coinvolgimento in attività sociali, spiega ancora il professor Carlo. Comunicazione e coinvolgimento faciliteranno la manifestazione di ciò che è insito nella personalità, di quel senso di amicizia che dà conforto e al tempo stesso arricchisce, così che l’empatia si traduca pian piano in stimolo a diventare migliori. «E in questo processo, – conclude il professore – l’ambiente educativo si trasforma da assemblaggio di iniziative prive di profondità a programma di costruzione comune, ponendo al primo posto il principio di amorevolezza, una bontà simpatica nel desiderare il bene degli altri».
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