ResQ, una ong per il Mediterraneo

Come operano le ong che prestano soccorso ai naufraghi nel Mediterraneo e come è cambiata la loro situazione dal 2015 a oggi? Lo abbiamo chiesto a Luciano Scalettari, fondatore e presidente di ResQ.
21 Agosto 2025 | di

Ong, ieri e oggi

Ong, ieri e oggi

Un cambio di rotta netto e radicale: lo hanno vissuto le organizzazioni non governative dal 2015 ad oggi secondo Luciano Scalettari, fondatore e presidente di ResQ, una delle quindici ong - di cui tre italiane - che operano nel Mediterraneo per salvare le vite dei naufraghi, perlopiù migranti, che tentano di raggiungere le coste italiane. «Dopo la strage di Lampedusa del 2013, in Italia si respirava una forte empatia, culminata nel 2014 con l'operazione "Mare nostrum", la più grande impresa di salvataggio fatta dalla guardia costiera e dalla marina militare del nostro Paese. Circa 150 mila persone vennero soccorse in mare. Ma quando a fine 2014 l'operazione "Mare nostrum" non venne rinnovata, ebbe inizio un vero far west. A inizio 2015, per supplire alla mancanza di azioni governative, iniziarono a nascere le prime organizzazioni private» con l'intento di soccorrere i migranti in fuga dal Nord Africa. «Di lì a breve ebbe inizio nel contempo un'opera di delegittimazione - per non dire di criminalizzazione - relativa all'operato di queste realtà. E da allora la situazione è andata via via peggiorando, tanto che ad oggi gli ostacoli posti a chi fa soccorso nel Mediterraneo risultano pressocchè quotidiani». 

Parla con cognizione di causa Scalettari che, con la sua ong, in oltre quattro anni di attività ha soccorso 496 persone. «Di queste solo quattro, da quanto ne so, sono rimaste in Italia. La maggior parte di coloro che soccorriamo ha già in programma di raggiungere la Francia, la Germania o, più in generale, il nord Europa». Si pone, dunque, come un tramite e un sostegno concreto l'ong ResQ con il suo equipaggio composto da 21 membri tra professionisti marittimi e volontari specializzati quali medici e infermieri, soccorritori, mediatori culturali, logista e cuoco di bordo. Al di là delle polemiche sull'origine e sulle dinamiche delle migrazioni, «chi naufraga in mare deve essere soccorso» ha precisato Scalettari lo scorso 7 giugno nell'ambito del corso di formazione per giornalisti "Il fenomeno globale dell'immigrazione: come trattarlo correttamente nei media", organizzato dal «Messaggero di sant’Antonio» e tenuto assieme a Mariapia Veladiano, Giulio Albanese e Paola Barretta, a Padova. 

Posto che, come ha precisato Scalettari, «Prestare soccorso in mare sarebbe compito dello Stato, non dei privati» e che «La flotta civile interviene solo sul 7-8% delle imbarcazioni che arrivano in acque italiane (per non parlare di tutte quelle che non ci arrivano neppure...)» da cosa dipende questo accanimento verso le ong? «Finora tutte le inchieste svolte in merito alle operazioni di trasbordo e a eventuali abusi collegati alle ong che operano nel Mediterraneo non hanno mai portato a nulla». Resta da vedere l'esito del processo che (prima udienza: il 21 ottobre) vedrà protagonista l'equipaggio della nave Mare Jonio, gestita dalla ong Mediterranea Saving Humans, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, per aver accolto a bordo un gruppo di migranti nel 2020.

A complicare il quadro: una comunicazione non sempre corretta e oggettiva che favorisce la circolazione di preconcetti e fake news. Nel novembre del 2022 un nota rivista di attualità venne denunciata da sei ong per aver pubblicato una copertina dal titolo «I nuovi pirati» riferendosi agli operatori delle ong nel Mediterraneo, ricorda Scalettari. E che dire del caso Josepha, la migrante immortalata con lo smalto sulle unghie mentre veniva soccorsa dalla nave Open Arms (in realtà la foto era stata contraffatta)? Un'informazione il più possibile corretta e verificata, dunque, è il primo passo per comprendere il fenomeno delle migrazioni e dei naufragi nel Mediterraneo. Con una carriera da giornalista alle spalle, Luciano Scalettari ne è ben consapevole... «Il giornalista dovrebbe pensare che la persona che si trova in difficoltà nel Mediterraneo è un essere umano, quindi la sua storia ha diritto di essere raccontata esattamente come facciamo con un fatto di cronaca in Italia. In secondo luogo, consiglio ai miei colleghi di informarsi bene. Riscontriamo che c'è tanta disinformazione, poca conoscenza di tantissime cose, anche le più elementari, a partire da come avviene il soccorso in mare».

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Data di aggiornamento: 21 Agosto 2025

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