Sciascia, dalla penna all’obiettivo

A cento anni dalla nascita del grande scrittore siciliano, una mostra a Racalmuto, in provincia di Agrigento, svela un suo lato inedito attraverso ventisette fotografie.
26 Febbraio 2021 | di

XVI secolo d.C. Quando non era impegnato a scolpire o a dipingere, il grande Michelangelo Buonarroti componeva versi. Trecento anni dopo, Victor Hugo, il padre dei Miserabili, alternava alla scrittura il disegno di paesaggi spettrali (in tutto si contano 4 mila schizzi) con l’inchiostro, il nerofumo e i fondi di caffè. Anche il «collega» Jean Cocteau – tra poesie, romanzi, saggi e opere teatrali – si dedicava alle arti visive. Come pure – risalendo fino al Novecento – il «nostro» regista Federico Fellini, che schizzava su un quaderno i propri sogni, per poi attingervi durante la realizzazione dei suoi film. 

La storia delle arti è da sempre costellata di «contaminazioni». Non esiste disciplina che tragga beneficio dall’isolamento. Come pure non c’è artista che sia maturato senza mettersi in gioco su altri fronti. Capita così che un grande scrittore contemporaneo si affidi non solo alla macchina da scrivere, ma anche a quella fotografica, per raccontare il proprio paese e la quotidianità. È il caso di Leonardo Sciascia. Proprio allo scrittore siciliano di Racalmuto (AG) e alla sua passione per l’obiettivo è dedicata la mostra fotografica «Leonardo Sciascia e la fotografia» a cura di Diego Mormorio.

Allestita negli spazi dellla Fondazione Leonardo Sciascia, a Racalmuto, l’esposizione raccoglie ventisette istantanee inedite appartenenti all’Archivio privato di Leonardo Sciascia. Una galleria di situazioni e paesaggi – rigorosamente in bianco e nero – che raccontano la Sicilia del secondo dopoguerra: un mondo semplice, in cui regna la tradizione e le abitudini sono dure a morire. Un luogo che ha tanto sofferto e che sta lentamente rinascendo. Non a caso in quel contesto Sciascia partorirà la raccolta poetica La Sicilia, il suo cuore (1952), Favole della dittatura (1950), Pirandello e il pirandellismo (1953). Senza scordare Le parrocchie di Regalpetra (1956), omaggio a Racalmuto, nonché – a detta dello scrittore – il suo primo vero libro. 

Aria di casa

Davanti alla porta di una casa in pietra una capra attende di essere munta dal suo proprietario, sotto gli occhi attenti dell’inquilina accovacciata sull’uscio. Sembra la scena di un film d’antan, e invece è vita vera. Siamo a Racalmuto. La guerra è conclusa da poco e per le strade del borgo siciliano si respira voglia di normalità. Dietro la fotocamera Sciascia documenta la sua «isola nell’isola», un paese di oltre 13 mila abitanti a metà strada tra Agrigento e Caltanissetta a cui lo scrittore rimarrà sempre legato. Primo di tre fratelli, a Racalmuto Sciascia conserva i ricordi dell’infanzia. La famiglia, le scuole elementari, la sartoria dello zio Salvatore, il teatro-cinema gestito dallo zio Giuseppe… e poi il consorzio agrario dove lavora come addetto all’ammasso del grano, la scuola elementare dove insegna e dove incontra la sua futura sposa – nonché madre delle sue due figlie  –, Maria Andronico.

Anche quando gli studi e il lavoro lo portano lontano, Sciascia trova sempre il modo di tornare a casa. Non c’è da stupirsi, dunque, se gran parte dei suoi libri prende vita nella casa di campagna costruita dal nonno in contrada Noce. Basta dare uno sguardo alla foto di quell’edificio immerso tra i cespugli per intuire quanto la natura ispirasse lo scrittore. Da qui si spiega la componente «selvatica» che pervade un po’ tutti i suoi scatti. È un animo timido, Sciascia. Non a caso preferisce immortalare paesaggi in lontananza, piuttosto che avvicinarsi alle persone. Ama tutte le arti figurative, compresa la pittura e la grafica. Ma è solo attraverso l’obiettivo che egli riesce a perseguire davvero la verità: «Cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità che contraddice altre verità di altri momenti?» si chiede in Verismo e fotografia (1983). E ancora: «La fotografia è la forma per eccellenza: colta in un attimo del suo fluido significare, del suo non consistere, la vita improvvisamente e per sempre si ferma, si raggela, assume consistenza identità significato. È una forma che dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire».

Sulla scia di queste parole, il viaggio fotografico alla Fondazione Leonardo Sciascia non si ferma a Racalmuto. Attraverso scorci e panorami perlopiù deserti, lo scrittore ci porta a Modica e ad Avignone, per le vie di Burgos e al cospetto della Sagrada Familia a Barcellona. Sulla strada per Lourdes e a Piazza Armerina, nel centro della Sicilia. In compagnia della moglie Maria, immortala la magnificenza del Passo del Sempione nel giugno 1955, poi però torna alle sue strade di campagna, tra casali e ruderi… Perché non c’è luogo più bello di quello in cui alberga il cuore. «Sicilia interna, Sicilia arida… Ma intendiamoci, ha una sua bellezza: non come questa, che toglie il respiro; una bellezza che ti prende lentamente, o più quando se ne è lontani, nel ricordo… Qui ci vuole poco a dire che è bello, anche un cretino se ne abbaglia subito; ma a Nisima ci vuole tempo, ci vuole intelligenza… è un’altra cosa insomma» (L. Sciascia, Il mare colore del vino, 1973).

 

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Data di aggiornamento: 26 Febbraio 2021
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