Sobrietà, l’amica che si sceglie
Si chiude un anno che ci ha messo alla prova. Ancora. Dopo la pandemia, anche la guerra, nel cuore dell’Occidente (esperti di diritti così come siamo, non sappiamo muovere passi giusti, sorprendenti e nuovi verso la pace...). E poi ci è arrivato addosso anche il cambiamento climatico, che è un disastro annunciato da tanto tempo, ma la nostra inerzia viziata non ha ascoltato nessuno, come è accaduto con i profeti dell’Antico Testamento, derisi da tutti e spaventati, soli con il loro Dio, ostinato, fedele amante dell’umanità. Un lungo tempo di sobrietà ci aspetta. Da inaugurare subito, da questo Natale, festa dell’infinito divino donare se stessi che abbiamo trasformato nella sagra dello spreco.
Quando le risorse sono generose non viene spontanea la sobrietà, ci si rilassa, si compra il superfluo e il superfluo del superfluo e nemmeno ci si accorge. Si esce per prendere pane, pasta, caffè e detersivi e si torna carichi di mille altre cose che ci hanno attirato, perché i beni delle società opulente non rispondono a bisogni reali, sono l’appagamento di bisogni indotti, che non avevamo prima che il mondo economico intorno a noi ci informasse della loro necessità. E poi, ci informasse della obbligatorietà di comprarli, perché se si acquista meno si produce meno e c’è chi perde il lavoro. Ce lo hanno detto in modo subdolo e anche in modo diretto, che per far girare l’economia bisogna comprare, finché c’è un mondo da sfruttare, finché i poveri non si ribellano troppo, finché un’economia sempre in corsa, che si regge solo se la corsa continua, non stramazza di fronte a una pandemia o a una crisi di avidità cosmica.
Eppure sobrietà non è una parola biblica. L’immagine del Regno è sempre immagine di abbondanza: il Signore prepara per il suo popolo banchetti, feste e libagioni. È questa la promessa, il primo miracolo di Gesù è il vino della festa, il figliol prodigo è accolto dal vitello grasso. È l’abbondanza l’immagine del paradiso. Appunto. Il paradiso. È perché abbiamo tradito la vita e la terra e gli uomini, abbandonati nella loro miseria, che ora ci serve la sobrietà. La sobrietà è memoria di un peccato e insieme riparazione. L’abbondanza della vita a noi affidata è stata dissipata e ora la sobrietà è parola benedetta. La sobrietà dei mezzi chiama all’appello la nostra creatività.
Muhammad Yunus ha creato la Grameen Bank, ovvero il sistema del microcredito fiduciario, grazie a una grande idea ma con modesti mezzi economici. Si trattava di prestare soldi ai poveri, nessuna banca lo faceva; i soldi si prestano a chi già ne ha e vuole averne di più, oppure a chi ha beni da dare in garanzia. Ai poveri no, per cui i primi progetti di microcredito avevano pochissimo a disposizione, ma hanno funzionato, perché la fiducia – parola benedetta e questa sì parola del Vangelo – attiva fiducia, soprattutto in chi non è abituato a essere visto come persona degna.
Muhammad Yunus ha salvato un mondo dalla povertà senza consegnarlo alla logica dell’opulenza. Certo anche la sobrietà è un lusso di chi può sceglierla perché si trova fuori dalla miseria. C’è chi non può. E sono i nostri poveri, che contano a mente gli euro della spesa prima di arrivare alla cassa e ripongono furtivamente i prodotti che non ci stanno e se si sbagliano sprofondano di vergogna. Ecco perché chi può deve vederla amica la sobrietà. Non una malinconica necessità e nemmeno una consolatoria via di personale perfezione, ma una scelta adulta e libera, per salvare il nostro unico pianeta e poter abbracciare «un’esistenza carica di donazione» (don Tonino Bello) e salvare così insieme la nostra umanità.
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