Una compagna di viaggio
Giuseppe Luca Rizzo ha 36 anni, vive a Ferrara, è single e lavora come libero professionista. Nel tempo libero coltiva due grandi passioni: la musica e lo sport, in particolar modo il ciclismo. Insomma, una persona come tante. O così appare agli occhi di chi non conosce quello che per anni è stato il suo segreto: Giuseppe, infatti, è affetto da emofilia A. Anzi, come sottolinea lui stesso, «sono emofiliaco grave. L’emofilia, infatti, in base al deficit del fattore VIII della coagulazione del sangue, può essere classificata in tre categorie: grave, moderata o lieve. Nel mio caso, il deficit è superiore all’1%, quindi la patologia è definita grave».
Fino al 2012, cioè fino ai 24 anni, Rizzo ha tenuto riservata la sua condizione: un po’ per la paura di essere giudicato e isolato, un po’ per la voglia di sentirsi semplicemente come tutti gli altri. Poi, racconta, «mi sono reso conto che l’emofilia non era un limite, ma un valore aggiunto. Pormi e raggiungere obiettivi e fare cose un po’ fuori dall’ordinario mi ha dato una nuova prospettiva e ho sentito la necessità di condividere i miei successi e le mie sconfitte con gli altri. Mi sono reso conto che riuscivo a trasmettere molto di più di quanto credessi, e questo mi ha spinto a offrire una chiave di lettura diversa per quelle persone che, come me, hanno avuto difficoltà a mettersi in gioco e ad affrontare la propria vita».
Quella vita che era iniziata con una difficile diagnosi, giunta a pochi mesi dalla nascita. «Solitamente – spiega – questa patologia è di carattere ereditario, ma nel mio caso si è trattato di una mutazione genetica». Una diagnosi dura da accettare (l’emofilia A ha un’incidenza di un caso ogni 5.000-10.000 nati maschi) per una malattia che inevitabilmente condiziona la vita: chi ne è affetto, infatti, può andare incontro al sanguinamento in conseguenza di lievi traumi o anche in assenza di essi. Ma non solo. Ha pure facilità allo sviluppo di lividi sproporzionati, sanguinamento prolungato e continuo da piccole ferite cutanee o dalle mucose, ma anche emorragie all’interno delle articolazioni. «Quando ero piccolo – ricorda Giuseppe – evitavo qualsiasi attività nella quale potessi farmi male o che potesse scatenare episodi emorragici. Non è stato semplice, ma grazie ai miei genitori ho avuto un’infanzia meravigliosa: anche se un po’ diversa, è stata bellissima».
Uscire dalla «bolla»
Un’infanzia e un’adolescenza, quelle di Giuseppe, che lui definisce vissute in «una bolla di cristallo», una bolla che però ha subito le prime incrinature quando il ragazzo ha incontrato sulla sua strada la musica: «Da bambino non potevo seguire gli amichetti nelle attività sportive, e allora ho cominciato a dedicarmi alla musica. Così, mi sono ritrovato a suonare, anche spostandomi dal mio paese, e questo mi ha permesso di uscire dalla mia “comfort zone”, di viaggiare e di affrontare nuove sfide. Salire su un palco e suonare la propria musica significava infatti mettersi a nudo di fronte alle persone che erano lì per ascoltare ciò che avevo da dire».
E se le sette note hanno dato i primi colpi alla «bolla di cristallo», lo sport, e il ciclismo in particolare, ne ha sancito la definitiva rottura, portando a termine e consacrando quel percorso. Una costante dedizione e tanto duro allenamento hanno infatti permesso a Giuseppe di raggiungere traguardi e obiettivi che prima parevano impossibili, quasi impensabili. Dopo i primi giri in bicicletta attorno a casa, le pedalate si sono fatte sempre più lunghe: nuovi traguardi da raggiungere, nuovi percorsi da compiere e nuovi stimoli per non fermarsi. Macinare chilometri e chilometri in sella, nonostante i dolori e i gonfiori alle articolazioni: «Non avevo ancora la protesi al ginocchio – ricorda Giuseppe –. Un po’ di ghiaccio, un po’ di riposo e ripartivo, e da allora non ho più smesso, anzi. Il ciclismo mi ha aiutato a sentirmi come gli altri e, a volte, anche un po’ più forte!».
Ora la due ruote è un elemento fisso nella vita di Giuseppe, che di recente ha anche raccontato la sua vita al BAM – Bicycle Adventure Meeting, il grande raduno europeo dei viaggiatori in bicicletta tenutosi a Mantova dal 7 al 9 giugno scorsi. In sella alla sua bicicletta ha percorso migliaia di chilometri in Italia (nel 2018 ha scalato lo Stelvio, la cima ciclistica più alta d’Europa, e nel 2019 ha percorso 300 chilometri da Bolzano a Ferrara) e all’estero (ben quattro volte in Slovenia). Ogni viaggio è un carico di nuove emozioni e forti sensazioni, anche se uno, in particolare, è entrato in profondità nel suo cuore, quello in Abruzzo, avvenuto nel maggio del 2022: «Circa 500 km in quattro giorni e tanto tanto dislivello. In quell’occasione mi sono sentito davvero libero, ho realizzato che potevo farcela. Mi viene ancora la pelle d’oca quando mi penso in cima al Gran Sasso innevato con la mia bici e le mie borse».
Affrontare i limiti
In tutto questo, un grande aiuto arriva anche dai grandi passi in avanti fatti negli anni dalla medicina: «Oggi ci sono molti farmaci che permettono di avere una vita normale. Qualche anno fa, la situazione era profondamente diversa: quando ero piccolo, i farmaci non erano così avanzati, quindi mi venivano somministrati solo quando stavo male. Oggi, grazie alla profilassi, sono costantemente coperto». La profilassi, che consiste in infusioni endovenose regolari, è entrata a far parte della routine di Giuseppe intorno ai 15-16 anni: quella che inizialmente il giovane riteneva una «seccatura», saltando a volte le sedute e dimenticandosi di sottoporsi alla terapia, è ora invece un elemento imprescindibile della sua vita. Un appuntamento irrinunciabile che gli permette di guardare verso nuovi obiettivi senza doversi preoccupare troppo delle possibili limitazioni. Anzi.
«Per come la vedo io, non ci sono più particolari limitazioni – sottolinea Giuseppe –. I propri limiti si possono affrontare, e a volte superare, soprattutto quelli che abbiamo nella nostra testa. Lavoro ogni giorno su me stesso per ricordarmelo». Dal punto di vista pratico, forse ci possono essere problemi sulla gestione e il trasporto dei farmaci, ma «le case farmaceutiche stanno facendo passi da gigante, quindi si tratta solo di avere ancora un po’ di pazienza». La giornata tipo di Giuseppe, quindi, è sicuramente condizionata dall’emofilia, però il segreto sta nel saper affrontare la malattia, nel non nasconderla, ma anzi nel guardarla dritta in faccia e gestirla con una sana dose di ottimismo: «Sveglia all’alba, somministrazione del farmaco ogni tre giorni, allenamento e lavoro. Una giornata quasi normale!».
Così, mentre Giuseppe sta già pensando ai prossimi appuntamenti ciclistici, la sua mente immagina nuovi itinerari da percorrere e nuove sfide da superare per rispondere a quella domanda che molti si sono posti: un emofiliaco può fare sport? La risposta è negli occhi di Giuseppe, in quella scintilla che scocca ogni volta che sale sulla sua bicicletta, appoggia il piede al pedale e via. «Amo scoprire il mondo in bicicletta, mettermi alla prova e sfidare i miei limiti», conclude Giuseppe prima di lasciare un messaggio a tutte quelle persone che, come lui, sono affette da questa malattia. «Si tratta del messaggio che avrei voluto ricevere io quando ero piccolo: l’emofilia non è un limite, ma una compagna di viaggio».
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