Quell’amore senza fine
I riti della Quaresima ci conducono ad accogliere il dono della Pasqua che segna il culmine della celebrazione della morte e della risurrezione di Cristo, ma riflette anche la promessa salvifica che Dio ha fatto ai cristiani. Proprio nel giorno del rito del passaggio, infatti, possiamo cogliere l’opportunità di esplorare le diverse espressioni con le quali le comunità italiane nel mondo onorano la dipartita dei loro cari, ne coltivano la memoria, ne perpetuano l’affetto ben oltre i segni e le liturgie che la tradizione confina, in genere, al 2 novembre, ma che in realtà diventano voti di vita eterna.
I lutti, purtroppo, ci accompagnano tutto l’anno, ma nel giorno in cui Cristo è risorto assumono un valore particolare: quello dell’inizio di una vita nuova. In un mondo che vede scomparire lentamente le tradizioni che hanno ispirato la quotidianità degli italiani all’estero, il ciclo dei rituali per i defunti rappresenta ancora quell’insieme di sentimenti, etichette e consuetudini che sono manifestazioni della loro cultura d’origine, regionale e non solo. E pur adattandosi alle leggi e agli usi della nuova patria d’adozione, non smarriscono mai del tutto la loro matrice identitaria.
Stati Uniti - Senso d'appartenenza
di Generoso D'Agnese
«Questa è la terra di “E pluribus unum” – precisa Frank Salvatore di Philadelphia. I riti sono più o meno gli stessi per tutti. Puo capitare in casi eccezionali, come a Roseto (Pennsylvania), fondata da italiani originari di Roseto Val Fortore (Foggia) che le celebrazioni riflettano interamente quelle del paese di provenienza». Dopo la morte, il defunto viene trasportato in una casa mortuaria dove sono disponibili i migliori servizi, anche in italiano, e dove hanno luogo, dopo tre o quattro giorni, la veglia e altri riti.
La cappella mortuaria può ospitare anche 150 persone. Qui le varie organizzazioni a cui il defunto ha partecipato in vita: Sons of Italy, Niaf, Filitalia, The Nights of Columbus, hanno modo di celebrarlo. Nel caso dei Sons of Italy, il rituale prevede che il segretario dell’organizzazione porti la bandiera della loggia. Due membri stazionano ai lati del defunto, e il presidente dell’organizzazione fa l’elogio funebre prima che il prete chiuda la cerimonia con una preghiera.
Germania - Preghiera di gratitudine
di Andrea D'Addio
Entrare nella casa di Antonio Torrisi significa varcare la soglia di una delle famiglie italiane che hanno fatto la storia della comunità italiana di Berlino. La loro vicenda inizia in piena Seconda Guerra mondiale, quando Antonio Torrisi (stesso nome del nipote, come tradizione italiana vuole) arrivò nel 1939 per lavorare all’Ambasciata d’Italia, lasciando a Catania la moglie e i quattro figli. Nel 1943, con la rottura dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, fu imprigionato fino alla fine della guerra quando, liberato, decise di rimanere in Germania e rifarsi una vita.
A metà degli anni Sessanta i suoi due figli maggiori decisero di provare a riallacciare i rapporti. Vennero a Berlino. Si trovarono a loro agio, e così chiamarono dalla Sicilia sia le loro famiglie che le due sorelle minori. Il più piccolo dei due fratelli, Paolo, all’epoca aveva già quattro figli. Per mantenere tutti, iniziò a lavorare di mattina come carrozziere e di pomeriggio in un cimitero. Era il 1966. È da qui che iniziano i ricordi di Antonio Torrisi, figlio di Paolo. Aveva 6 anni all’epoca del trasferimento. Non parlava tedesco. «Lo imparai a scuola, a poco a poco». Sua moglie Giovanna Rita è anche lei siciliana, di Porto Empedocle (AG). E la famiglia è ormai siculo-berlinese da cinque generazioni: il loro figlio Christian ha già avuto due figli. Sia nonno Antonio che papà Paolo sono mancati. Il primo a 99 anni, nel 2010, il secondo nel 2018. Sono sepolti rispettivamente a Berlino e a Mascalucia, in provincia di Catania.
«Quando, nel 2013, morì mamma, papà acquistò una tomba per due in Sicilia. Non voleva lasciarla sola, così mise già il suo nome, una foto e la data di nascita più un trattino in attesa che fosse completata». Da allora la famiglia di Antonio e Maria Rita va a trovarli almeno una volta l’anno. «Papà era cattolico, ma la sua fede si intensificò quando un giorno, mentre era nel Nord della Germania dove lui aveva aperto una gelateria e io un ristorante, ebbe un serio problema di salute, e corse dal medico. Mentre era seduto in sala d’attesa cominciò a parlare con un signore molto gentile. Quando il medico lo chiamò, lui si girò per salutarlo, ma l’uomo non c’era più. Non solo: il dolore e il problema erano completamente scomparsi.
Tornato a casa, trovò un santino di Padre Pio sulla scrivania. Assomigliava al vecchietto incontrato qualche ora prima. Da allora, almeno una volta l’anno, andò in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. E tutti noi, compreso mio figlio Christian, abbiamo fatto del santo una delle figure di riferimento della nostra fede». A Pasqua «tutti assieme, dedichiamo una preghiera a chi ci ha preceduto e reso possibile una vita, qui in Germania, che ci ha dato salute e serenità».
Canada - La vita continua
di Vittorio Giordano
Gli italiani in Canada, e quelli del Québec in particolare, vivono il lutto a seconda della regione d’origine. Rispetto alla morte, le tradizioni sono probabilmente le stesse presenti in Italia quaranta o cinquant’anni fa. «Altrimenti ci sentiamo colpevoli di non rispettare il lutto come prescrive la tradizione», ci spiega Michele Trozzo, originario di Mendicino (CS), psicoterapeuta specializzato nell’elaborazione del lutto. Una variante, rispetto alla tradizione, è il fatto che oggi sempre più italo-canadesi muoiono in ospedale, nelle case di riposo o nelle strutture sanitarie per lungodegenti. Dopo la constatazione del decesso, entra in scena l’agenzia funebre. Per non trasmettere un’idea di mediocrità, si preferisce la tumulazione in un loculo alla sepoltura. «Gli italiani in Canada hanno raggiunto un benessere economico che deve essere ribadito anche al momento della morte», aggiunge Trozzo. La morte come «status symbol».
Prima di essere esposto nel salone funerario, il corpo viene svuotato, imbalsamato e truccato. Pochissimi scelgono di essere cremati, non più del 10 per cento. I saloni sono generalmente neutri, vuoti. Gli spazi vengono adattati alla confessione religiosa del defunto. Nella sala dove è esposta la salma, addobbata a salotto, con sedie e divanetti, ci sono album fotografici, montaggi video e oggetti appartenenti al defunto. Tra le famiglie più religiose domina il raccoglimento. Spesso c’è una sala adiacente dove parenti e amici si rivedono dopo mesi o anni. Un’occasione d’incontro. «Si celebra la vita che continua diversamente». Con gli anni, la veglia della salma si è ridotta da tre giorni a 24 ore. «La morte viene quasi banalizzata. Oggi, con l’ultimo respiro esalato fuori casa e l’omaggio frettoloso in saloni arredati come salotti, si cerca di esorcizzare, dissimulare, quasi negare la morte».
Nella comunità è immancabile il rito religioso. Il funerale è anche un omaggio alla vita del defunto: familiari, amici e colleghi condividono i loro ricordi. Accanto alla bara, a volte si trovano bandiere, cappelli o stendardi delle associazioni di appartenenza. Il cimitero accoglie gli ospiti con un sottofondo musicale rassicurante, con tanto di aria condizionata o riscaldamento: un altro salotto, dove si «addomestica» la morte, riaffermando la continuità del legame col defunto. Solo chi ha assistito alla tumulazione, poi, viene invitato al pasto offerto dalla famiglia. Un pasto completo, per riaffermare il successo avuto nella vita. Molti connazionali del Sud indossano vestiti neri e rinunciano alle feste per un anno.
I credenti mantengono il legame col defunto con la Messa del primo mese e quella del primo anno. «La spiritualità e i riti aiutano moltissimo a superare questo passaggio della vita che si trasforma, anche tra i cristiani meno praticanti». La pandemia ha complicato il rapporto con la morte, che ha un risvolto sociale imprescindibile. «Come minoranza all’estero, cerchiamo di sostenerci a vicenda», sottolinea Trozzo. Una solidarietà rafforzata. In Canada, di fronte al dramma della morte, tutti gli atteggiamenti – pur ispirati alla tradizione – sono volti a ribadire che la vita continua, sotto una forma diversa. In linea con l’insegnamento più profondo della risurrezione pasquale.
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