Lo scorporo della vita religiosa
«Noi suore della generazione di mezzo saremmo felici di dedicare il resto della nostra vita a occuparci delle suore anziane, in modo da liberare le suore giovani dal grande peso che comporta la cura di una congregazione così anziana». Queste parole me le ha dette la Madre Generale di una congregazione, qualche giorno fa. Una generosità che mi ha commosso, e poi mi ha stimolato una riflessione di carattere più generale sul presente e sul futuro degli ordini religiosi della Chiesa.
Nel mondo delle imprese, quando si ha a che fare con un’impresa molto indebitata e in crisi, è sempre più comune scorporare la parte sana dell’impresa, quella che ha ancora capacità di futuro, per evitare che la vecchia compagnia affondi anche la sua parte più nuova. È questo un modo di salvare la società, continuare la sua tradizione ed evitare la chiusura totale dell’impresa.
Il mondo degli ordini religiosi non è sovrapponibile al mondo delle imprese, ma nondimeno esistono delle analogie. Quando oggi una giovane o un giovane riceve una vocazione e si avvicina a una congregazione o a un ordine religioso, deve gestire un conflitto molto serio. Da una parte c’è la sua naturale aspirazione alla felicità che è un diritto-dovere di ogni persona, in particolare dei giovani; dall’altra la certezza di dover trascorrere la propria vita a occuparsi di un ordine composto per una quota elevatissima di persone anziane, a dover vendere case, gestire problemi crescenti di sostenibilità economica, ecc.ecc.
Questo conflitto sempre più evidente sta producendo due fenomeni: in primo luogo una riduzione di vocazioni maggiore di quella dovuta alla sola secolarizzazione, perché molti giovani con autentiche vocazioni si bloccano per una impossibilità pragmatica di coltivarla; in secondo luogo, quelle poche vocazioni rimaste si orientano soltanto nei nuovi movimenti e nelle nuove comunità, producendo una drammatica scarsità di giovani negli ordini e nelle congregazioni secolari, che sono tra le realtà più belle della Chiesa e dell’umanità.
Ecco che l’idea della «nuova società» delle imprese, scorporata dalla vecchia, può offrire qualche spunto e indicare qualche prospettiva interessante. Come mi diceva quella Madre, l’attuale governo di queste grandi famiglie religiose potrebbe distinguere sul piano operativo e magari anche giuridico la «vecchia» istituzione, che dovrebbe occuparsi della gestione dell’esistente e dei problemi della terza età, facendo chiaramente in modo che le persone anziane possano trovare una loro buona vita nell’ultima fase della loro esistenza, elemento fondamentale per tutte le comunità umane.
Al tempo stesso, utilizzare i capitali e i patrimoni, spirituali ma anche immobiliari e finanziari, per dar vita a una nuova «società», con una attualizzazione del carisma, con uno specifico lavoro narrativo sulla spiritualità, in modo che l’antico carisma possa presentarsi alle nuove vocazioni come una vita possibile ed entusiasmante, capace di futuro e non solo di passato.
Simili operazioni richiederebbero, oltre a un coraggio carismatico e alla fede che il proprio carisma è ancora in grado di avere, figli e nipoti (ricordando sempre l’antica saggezza del proverbio africano: «Chi si mangia i figli non vedrà mai i nipoti»), anche una grande generosità da parte della attuale generazione di mezzo degli ordini religiosi, che dovrebbe mettere la felicità dei giovani prima della propria. Ho incontrato alcune comunità dove questa generosità esiste, manca solo il passo per renderla concreta e operativa dando vita oggi a qualche esperimento concreto. Buon lavoro: la posta in gioco è davvero grossa.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!