Ascoltare creat(t)ivo
Per un ascolto vero e creativo non basta stare con una persona, scambiarsi un saluto e qualche parola: alle volte domandiamo «come stai?» e neppure ascoltiamo la risposta. Ascoltare è un’arte che mette a disposizione della relazione tempo e cuore, attenzione e ospitalità prolungata. Anzi, dobbiamo reimparare ad ascoltare con l’orecchio di Dio, affinché ci sia dato un giorno di parlare con la parola di Dio. L’arte dell’ascolto esige innanzitutto l’allenamento dei muscoli dell’empatia: parola cardine della relazione viva. Empatia significa avere dentro di sé un pathos di partecipazione, un patire dentro, un sentire come tue le ferite dell’altro, entrando in risonanza con lui come le due corde di un liuto. L’apostolo Paolo conosce bene questa norma creativa di comunità: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm12,15). E se ti mancano le lacrime, forse puoi dire, in umile verità: «Stasera, amore mio, piango con le tue lacrime».
Nella Bibbia leggiamo: «Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà che cosa significa ciò […] tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire”» (cfr. Deut 6,20-22). Quando tuo figlio, tua carne e tuo sangue, per cui il tuo cuore patisce e gioisce, trepida e trema, ti domanderà... L’immagine del padre che ascolta ci porta diritti alla radice dell’empatia: farai sempre come se il tuo interlocutore fosse tuo figlio, fibra della tua fibra d’uomo. Tu risponderai: un futuro che è anche un imperativo. Tu risponderai e non un altro; non rimandare a domani, non dire: adesso non posso; non stare zitto con la scusa che si tratta di cose personali. Ma mettiti in gioco, mettici la faccia, l’anima, la tua storia. Tu che vai in chiesa da una vita, tu che dici di credere, tu che sei più maturo, tu risponderai. Darai una risposta personale, responsabile, non a casaccio. E soprattutto non dirai mai frasi fatte, parole o pensieri che non ti abbiano prima fatto soffrire e gioire. E non andare a cercare lontano: la risposta è vicina, è già nella comunità e nella Bibbia. Risponderai a tuo figlio: e se sei un amico, un catechista o un formatore, tu parlerai e testimonierai come se colui che hai di fronte fosse tuo figlio. Con cura, calore e partecipazione. Con gentile sicurezza. Con empatia.
Se proviamo a stendere un veloce elenco di alcune pur minime tecniche a supporto dell’ascolto generativo, la prima di tutte è senz’altro l’empatia (quando tuo figlio ti domanderà...). La seconda norma vitale consiste nell’abbandono di ogni fretta, nell’imparare, custodire e mostrare un rapporto sereno col tempo. Oltre all’ascolto cordiale, a colui che ti parla darai il tempo, tutto il tempo necessario. La fretta rivela che tu non stai accogliendo l’altro, che non t’importa. Ascoltare quindi senza correre a tirare le somme, senza saltare alle conclusioni o ai buoni consigli di maniera, ma accompagnando ogni battito d’ali della parola, e tutto il non-detto degli occhi e del corpo. Come in questi versi, belli al di là della loro attribuzione (Pablo Neruda o Madre Teresa di Calcutta): «Prenditi tempo per pensare, / perché questa è la vera forza dell’uomo. / Prenditi tempo per leggere, / perché questa è la base della saggezza. / Prenditi tempo per pregare, / perché questo è il maggior potere sulla terra. / Prenditi tempo per ridere, / perché il riso è la musica dell’anima. / Prenditi tempo per donare, / perché il giorno è troppo corto per essere egoisti. / Prenditi tempo per amare ed essere amato, / perché questo è il privilegio dato da Dio. / Prenditi tempo per essere amabile, / perché questo è il cammino della felicità. / Prenditi tempo per vivere!».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!