Hamed è un Tuareg
Hamed è un Tuareg. È nato con la sabbia negli occhi. Porta con eleganza uno chèche nero, da cui echeggiano i suoi occhi scuri. È un principe del deserto, il suo sguardo accende la fantasia e riporta alla mente i libri dell’infanzia. Da bambino ero affascinato dagli «uomini blu», gli indomabili guerrieri vincitori di innumerevoli razzie. I vincitori della mia infanzia oggi sono diventati i vinti. Gli sconfitti. Vittime dell’implacabile progresso, lentamente stanno perdendo le loro secolari tradizioni. Il destino li ha segnati, non hanno via di scampo.
Hamed diventa serio quando racconta dei fratelli, «figli del vento», costretti a piegarsi ai potenti del Sahara. Racconta di famiglie fuggite nelle zone più impervie del «Grande deserto», pur di non finire ai margini di una società a cui non appartengono. I Tuareg stanno assistendo impotenti alla disgregazione del loro popolo. È un’etnia destinata all’estinzione. Questo Hamed lo sa bene. E non lo nasconde.
«Abbandonati da Dio», li definiscono tali gli arabi del nord. Per contro i Tuareg affermano che il loro nome deriva da un’antichissima voce, il cui significato li definisce «Uomini liberi». Infatti, Tuareg potrebbe riallacciarsi a «Targa», nome con cui veniva chiamata la regione del Fezzan, anticamente dominata dagli «uomini blu».
Conosciuti anche come i flagelli del deserto, i Tuareg sono divenuti celebri per il loro carattere duro e sinistro, che collimava con la loro nota crudeltà. Il declino vero e proprio di questa razza fiera e indomata incominciò agli inizi del Novecento, quando i vari coloni, ultimate le conquiste, decisero di liberare gli schiavi. Il lento ma progressivo cambiamento costrinse i «figli del vento» a isolarsi. La purezza della razza e la nobile libertà erano valori troppo radicati nel tessuto sociale, nessun Tuareg era disposto a venirne a meno.
Per il nomade di una certa età, conservatore e radicato, il solo pensiero di vivere in una casa di mattoni è qualcosa di incomprensibile. La mentalità rimane ancora legata a uno schema medievale. Ma i contatti con i viaggiatori e i turisti inducono i giovani a pensare che oltre l’ultima duna del deserto li attenda una vita migliore. È uno scontro generazionale, inevitabile.
Tuttavia, che sia giorno o notte fonda, il sogno di ogni Tuareg resta sempre lo stesso: poter sollevare una parete della Jiaima e vedere l’immensità del deserto. Per questo qualcuno afferma che nessuno potrà distruggere completamente i Tuareg. Se non i Tuareg stessi.
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