Meraviglia. Riportare lo sguardo in alto
«Si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6a). Appena sopra, i compaesani di Gesù si erano stupiti di lui. Di che cosa esattamente? Del fatto che a Nazaret, in sinagoga, di sabato, Gesù predicasse e dicesse parole che li colpivano. È interessante, sono colpiti positivamente e del resto altrove nei Vangeli è scritto che «erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità» (Lc 4,32). Poi però scatta qualcosa. A quale titolo predicava? Sappiamo tutto di lui, si dicono l’un l’altro. Lo abbiamo visto giocare come tutti i bambini, conosciamo la famiglia, normale come la maggior parte. E quindi è uno di noi e non può farci da maestro, santa pazienza.
C’è tantissimo in questo episodio. C’è la diffidenza. Pura e semplice. Noi la conosciamo. È un guscio protettivo la diffidenza. Da lui non può venire granché di particolare, perché conosciamo la sua storia. Suo padre era. Da piccolo faceva. E mi ricordo quella volta. Se so già, mi confino nell’orizzonte pigro e circoscritto di un pensiero conosciuto, limato sulla misura di una vita accomodata e lascio passare i giorni, fino alla fine. Poi c’è anche il paternalismo dell’età. Per cui si sa, Dio si manifesta in ben altro modo, possono pensare i compaesani di Gesù. E noi, più modestamente, sappiamo che quel ragazzo o ragazza è un presuntuoso. Che i giovani qua e i giovani là. Piccole cose. Un pensare basso basso. Il livello è la chiacchiera, la bocca che si apre per dire qualcosa, così, per riempire il vuoto. Alzi la mano chi non lo ha riconosciuto intorno a sé e qualche volta anche in se stesso.
E però capita, nel Vangelo, che alla fine di questo rientro nel suo paese, un tornare che avrebbe potuto avere la forza di un’esplosione, vite cambiate, consapevolezze rinnovate, la fede che sposta le montagne, e invece si è sciolto nel pettegolezzo di piazza, alla fine c’è questa affermazione altissima di Gesù. Lui si meraviglia. Si meraviglia, non della chiacchiera ma dell’incredulità. Hanno poca fede. La fede è la fede nelle Scritture, nei Profeti, in Dio, soprattutto in Dio. Riporta lo sguardo in alto, Gesù. Il cambio di passo, di sguardo, la metanoia, la conversione è sempre questione di fede.
Non è obbligatorio che per tutti gli uomini e le donne si tratti di fede in Dio. C’è qualcosa di misterioso nella chiamata, anche nel Vangelo. Uno sì e cento no. Per quante strade non è passato Gesu! Non si parla di predestinazione, ma di quel profondo riconoscersi che permette l’incontro e fa sì che mai più ci si lasci, tra uomo e Dio. E a volte non capita. E possiamo solo sospendere il giudizio. Pensare davvero che per tutti tutti sulla faccia della Terra debba essere così l’incontro è non tenere conto della storia, delle religioni, di mille diverse vicende personali. L’integrismo, anche pieno di buona volontà, è come se non vedesse davvero le persone e il mondo. Qui in terra non c’è la perfezione come noi la sogniamo e dobbiamo, nel senso che è tutto quello che possiamo fare, convivere con millemila diverse strade che gli uomini e le donne percorrono per trovare una vita buona da vivere.
Ma quello che Gesù dice è potente per noi che ancora oggi lo ascoltiamo. Niente capita nei nostri giorni se non abbiamo fede. La fede è la possibilità che le cose cambino, che un incontro sia vero e ci trasformi, anche un incontro umano umanissimo, un bambino, un vicino, un ritorno dal passato. La meraviglia del momento che c’è, arriva, ci interpella.
Non dice il Vangelo che quello che Gesù predicava fosse azzardato o falso o esagerato. Solo che non lo hanno ascoltato davvero. Tanto sapevano che. Erano sicuri che. E noi?
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