Lettera a una maestra col telefono in mano
«Cara maestra, oggi sono venuta a prendere mia figlia a scuola, come tutti i giorni. E di nuovo ti ho vista uscire sorridendo, cambiare classe, salutarmi e dire ciao a mia figlia. Tutto questo mentre attraversavi l’atrio con il telefono in mano e il caricabatteria già attaccato, in modo da poterlo mettere in carica immediatamente dopo essere rientrata in aula, immagino. Perché penso che non si potesse lasciare attaccato a ricaricare in ufficio: troppi telefoni da caricare, per una sola stanza, per tutta la scuola. Occorrono più prese in ufficio, no? “Ognuno ricarichi il proprio smartphone nella classe di riferimento, grazie”. Sarà forse il prossimo avviso da affiggere alla bacheca di scuola, tra il menu settimanale e la proclamazione di uno sciopero.
Cara maestra, ieri ti ho salutata, per abitudine, mentre andavi verso l’ufficio, ma non mi hai sentita, perché ti sei sfilata il cellulare dalla tasca della tuta e ti sei fiondata nelle tue cose – uguali alle mie, alle nostre, a quelle di tutti quanti infine – ancora prima di entrare in pausa. E in quel momento ho realizzato che il telefono ce l’avevi in tasca fin dalla prima ora, adesso che ci penso.
Cara maestra-supplente-giovane, l’altro giorno sono entrata in aula senza bussare, ero sovrappensiero, ti chiedo scusa. Ti ho vista ammaliata dalle notifiche dello smartphone e mi si sono avvampate le gote dall’imbarazzo. Per te. In fondo, i tuoi alunni sono così giovani che forse sanno giustificarti – così come giustificano me, quando rispondo al telefono per cose di lavoro, fuori orario di lavoro –. Lasciamo proprio a loro il compito delicatissimo di giustificare tutti noi per i nostri enormi, indicibili, estremi impegni lavorativi e professionali. Che poi, di lavoro, quasi mai, quasi per nulla si tratta. Sono le nostre misere cose da adulti. E ci dimentichiamo di avere a che fare con piccole grandi menti in crescita, entusiasmi freschissimi che ambiscono al loro protagonismo fin da subito, senza attese. Senza l’ultima notifica da evadere. Quella la lasciano giustamente a noi. Comunque io no. Io non ti giustifico più e ti misuro proprio per queste cadute di stile, che non sono quasi mai estemporanee, ma rappresentano una normalità.
Cara maestra, sempre oggi, mentre salutavo mia figlia, ho trascorso qualche minuto vicino alla porta di uscita dalla scuola e ho notato un silenzio imbarazzato mentre l’addetta alle pulizie – una signora veramente in gamba e sempre attiva – stava al telefono per i fatti suoi, continuando a dire «certo, certo, certo, certo» e mia figlia la osservava un po’ sorridente e un po’ curiosa di tutti questi «certo e certo». Io che cosa ho fatto, per contro? Ho riempito questo silenzio con cento domande diverse a mia figlia, per farle dimenticare la scena triste alla quale eravamo chiamate entrambe ad assistere. Comportandomi forse anche peggio di chi impiega il tempo per i fatti suoi, in orario di lavoro e in ambienti così ricchi e delicati come potrebbero essere le scuole.
Cari amici genitori, ogni giorno che passa pare sempre più difficile scambiare due parole fuori da scuola, tutti quanti presi a mandare l’ultimo messaggio prima di quel suono, quel malefico suono che ci ricorda che adesso i nostri figli usciranno e noi no, non potremo essere liberi di messaggiare con calma (insomma un po’ di svago ogni tanto, no?), ascoltare vocali e scrollare chilometri di App per il gusto di osservare volti, colori, mondi immaginifici.
Cara me stessa, ti chiedo di fare qualcosa. Forse potresti anche solo scrivere una lettera a qualche giornale, per agitare un po’ le acque, chiedere a qualcuno che se ne occupi. Ora scusa, ma ho il telefono pieno di notifiche e un centinaio di mail da cancellare».
Lettera firmata (A.F.)
Questa lettera aperta dipinge in modo realistico quello che, spesso, è il nostro rapporto con il cellulare e l’impatto che tale strumento ha sulle nostre relazioni, soprattutto in termini di occasioni perdute. Sì, perché ciascuno di noi non solo è fatto per relazionarsi con gli altri, ma proprio in tale relazione troviamo molto del senso della nostra vita. L’arte della relazione si impara: per questo è ancora più grave quando in ambienti educativi non si ha la dovuta attenzione a come usiamo i media. Tutti i comportamenti messi in atto da una figura educativa autorizzano i ragazzi a fare altrettanto, e valgono molto di più di qualsiasi discorso fatto sull’uso degli smartphone: si può far parlare anche il più grande esperto al mondo, ma se la vita concreta parla in modo diverso, qualsiasi tentativo di educare è destinato a fallire. Con lo smartphone, internet è a portata di mano e per questo abbiamo il mondo ai nostri piedi, nel senso che possiamo accedere a una quantità enorme di contenuti (per consultare quanto è prodotto in un giorno nel mondo non basterebbe una vita): abbiamo in mano un’«arma di distrazione di massa», come ha detto qualcuno. Un mondo intero, non esauribile, che offre un rifugio in ogni istante, una scappatoia a qualsiasi situazione si presenti nel quotidiano: non per nulla, quante volte tiriamo fuori il cellulare per «scrollare» il feed dei social o per cercare qualcosa sul web?
La situazione è complessa: penso che in tanti (se non tutti) ci ritroviamo nelle parole della signora. Quante volte il telefono ci distoglie dalla realtà, dall’essere presenti nel presente, davvero in relazione con chi abbiamo davanti! E apprezzo molto che chi scrive non abbia solo puntato il dito per denunciare certe «cadute di stile», ma si senta coinvolta, chiedendosi che cosa può fare. Forse ci stiamo rendendo conto che, in modalità e forme diverse, siamo dipendenti dallo smartphone: è bene ammetterlo e cercare delle pratiche concrete per disintossicarci, smettendo di affermare che è solo un problema di altri. Certo, è importante ribadire l’attenzione a come usiamo questi mezzi, ma rischiano di essere solo parole, senza che si inizi in noi un cambiamento. Penso che esso parta invece dal riscoprire la centralità della relazione autentica con gli altri, di quell’impagabile stare insieme in semplicità, che nessun apparecchio digitale, per quanto sofisticato, può sostituire.
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