Venezia, la «notte famosissima»
Le grandi feste, religiose e laiche, sono una rappresentazione del mondo. Sono il mondo. Cominciano con una devozione, un voto, un miracolo, un’apparizione: è la molla che fa fare un balzo all’anima di un popolo. E poi la gente se ne appropria, le feste, spesso, diventano identità, sacra e profana, di una comunità. A Venezia, al terzo fine settimana di luglio, esplode inarrestabile, tumultuosa e santa, affollata ed eccitata, «la notte famosissima», la notte (e il giorno) del Santissimo Redentore. I due cuori della Festa battono uno accanto all’altro, Cristo ha salvato la città dalla peste e Venezia, a ben oltre quattro secoli di distanza, può ancora lasciarsi andare a un’allegria infinita e alla gioia di poter «camminare sulle acque».
Il ponte votivo che – quest’anno dalla notte del venerdì 19 luglio alla mezzanotte della domenica – unirà il sestiere di Dorsoduro alla chiesa del Redentore sarà ancorato a trentaquattro barche che galleggiano sul canale della Giudecca. I veneziani lo percorrono con una piccola felicità addosso. È la loro forma di ringraziamento contemporaneo alla fine della tragica epidemia che sconvolse la città tra il 1575 e il 1577. Era la seconda volta, dopo la pandemia nera che aveva decimato la popolazione europea nel 1346, che Venezia era colpita dalla peste. Fu una strage, in due anni morirono cinquantamila persone; allora, leggo, era un terzo della popolazione veneziana.
Dopo iniziali esitazioni, il Senato della Serenissima varò rigide misure di isolamento dei contagiati e, allo stesso tempo, si affidò a Dio decretando una promessa votiva: ordinò la costruzione di una grande basilica nell’isola della Giudecca. Il progetto venne affidato ad Andrea Palladio, la prima pietra murata nel maggio del 1577. Accadde davvero un miracolo grazie all’intercessione divina? La peste perse la sua forza, regredì, venne domata. Il 20 luglio di quello stesso anno fu decisa la costruzione di un provvisorio ponte galleggiante tra la fondamenta delle Zattere e l’isola della Giudecca: fu così possibile, per la prima volta, «camminare sulle acque» e raggiungere con una processione, scavalcando il canale, il cantiere della nuova chiesa.
Oggi le barche tradizionali di Venezia e della Laguna hanno diritto a un ormeggio privilegiato, una posizione di prima fila sotto il cielo che farà da sfondo ai fuochi d’artificio che chiuderanno la Festa del Redentore. Sul confine delle fondamenta la folla si è contesa ogni metro di spazio. Con due settimane di anticipo, i giudéchìni hanno segnato, con il gesso e il nastro adesivo, perimetri rettangolari sulla loro fondamenta: ci si ritaglia spazi per sistemare, con la famiglia e gli amici, teli da mare, sedie, tavoli, borse frigo. La festa è un’attesa. Una veneziana ottantenne mi ricorda: «Cucinavamo dal giorno prima, bisognava preparare il saor, tirar fuori cestini e borse della spesa. Si andava a mangiare in riva». Oggi per raggiungere la Giudecca o il bacino di San Marco bisogna prenotarsi online. Troppa gente. A Venezia c’è sempre un troppo di mezzo. Una ragazza ventenne mi racconta: «Quando siamo sbarcati sulla fondamenta siamo stati travolti dall’allegria: il cibo, la musica, le piccole lanterne gialle, le collane colorate al collo».
In mezzo al canale della Giudecca, si aspetta ondeggiando, le barche sono allacciate l’una all’altra, arrivano le remiere con i tavoli a bordo, si gettano ancore, si passa da uno scafo all’altro. Ci si scambia bigoli in salsa e ciotole di anguria, prosecco e sarde in saór. Si aspetta. Le chiatte con i fuochi sono pronte da tempo. A mezzanotte c’è un momento di buio improvviso, un botto solitario e poi il cielo e l’acqua si colorano di fiori, di girasoli, di girandole, di petali di rosa, di gigli iridescenti, di vere orchidee. Quaranta minuti di bellezza.
Poi i tre botti finali, il silenzio, e poi centinaia e centinaia di barche, motoscafi, barchini, gondole si muovono tutte assieme. Ragazzi si tuffano in canale, molti puntano sulle spiagge del Lido per tirare l’alba. La grande basilica del Redentore, con lentezza, torna al silenzio, ringrazia per lo spettacolo e, ne sono certo, viene ringraziata ancora una volta per la protezione che offre a Venezia.
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