Il Vangelo è per chi ha fame
«In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. […] Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame» (Lc 6,17. 20. 24-25).
Che bello commentare la Parola di Dio, quanto fortunati siamo a farlo e non ringrazieremo mai abbastanza il «Messaggero di sant’Antonio» per essere stati così «pazzi» da farlo fare a una coppia sgangherata come me e Chiara, a due sposi ordinari, che non hanno una particolare formazione per farlo. Questa è una rubrica che odora di Concilio Vaticano II. Questo mese vogliamo partire dalla consapevolezza della povertà umana delle nostre due persone. Ma perché lo ammettiamo con tanta trasparenza? Perché siamo furbi e vogliamo il regno di Dio! Nella beatitudine di cui ci parla il brano del Vangelo, infatti, c’è, a nostro parere (povero anche quello), la chiave di lettura di tutte le altre beatitudini, il prerequisito necessario per poter ricevere la straboccante bellezza del Vangelo: la consapevolezza della propria povertà (umana, spirituale, relazionale, ecc.). Solo chi ha fame riceve volentieri qualcosa da mangiare, chi ha la pancia piena declinerà l’offerta del cibo che gli si dona. Il Vangelo è per i poveri, per gli affamati.
Beato, dunque, chi si ritiene ancora povero anche se ha lauree prestigiose, master, pubblicazioni, beato chi si ritiene povero anche se ha aziende da centinaia di dipendenti e fatturati da milioni di euro, beato chi si ritiene povero anche se ha fatto decine di ritiri spirituali, ascoltato centinaia di catechesi, partecipato a migliaia di incontri formativi, beato chi si ritiene povero anche se li tiene lui i ritiri spirituali, le proclama lui le catechesi, li propone lui i corsi di formazione. Solo chi crede di essere povero è pronto a ricevere. Sente di ricevere un dono quando incontra una persona in difficoltà, sente di ricevere una perla preziosa quando ascolta qualcuno che gli vuole bene, sente di ricevere qualcosa di straordinario quando qualcuno gli offre un po’ di ospitalità, un po’ di compagnia o qualcosa di materiale. Solo chi si sente povero prova gratitudine verso colui dal quale riceve, si sente sempre fortunato ad avere così tanto pur essendo povero, ha la capacità di cogliere il bello nelle persone e di gustarselo attraverso la sensibilità del suo apparato psichico.
Nella relazione di coppia, solo se tu sei un marito o una moglie povera potrai vivere il tuo matrimonio come fossi già nel regno di Dio. Perché se io mi sento ricco, penso all’altro come a un servo che deve corrispondere ai miei bisogni. Se mia moglie mi fa da mangiare crederò che lei abbia solo fatto il suo dovere di donna, se lei sta dietro ai figli penserò che sta solo facendo il suo dovere di madre. Se mio marito mi dà attenzione penserò che questo sia il minimo che può fare, e se si dedica alla casa, che sta solo facendo la sua parte. Se io invece mi penso povero/a proverò un’infinita gratitudine per tutto quello che fa il mio partner, vivrò quel gesto di servizio, o di affetto, come un regalo non dovuto: in fondo chi sono io per pretenderlo? Io sono solo un poveraccio che arranca nella vita, un principiante che balbetta tentativi d’amore.
No, questa non è una svalutazione di sé e di quello che si fa. La beatitudine non chiede di sminuirsi, di dirsi che quello che fanno gli altri è bello e importante, invece quello che faccio io è brutto e scontato. No, sono consapevole di essere figlio di un Re, che posso fare tanto, che anche quello che dono io ha valore ed è bello poterlo regalare al mondo. Il ritenersi poveri sta nella consapevolezza che i talenti che possiedo li ho ereditati, di mio sono nato nudo, inerme, incapace di sopravvivere. Se sono vivo è perché qualcuno si è preso cura di me, mi ha vestito, mi ha nutrito, mi ha amato (come poteva), mi ha insegnato l’arte della vita. Se io e Chiara siamo qui a scrivere questo commento non è perché siamo più bravi di voi lettori, ma perché abbiamo avuto la fortuna di trovare una madre Chiesa che ci ha accompagnato negli anni, ci ha nutriti della Parola, ci ha fatto capire come meditarla e farla nostra, ci ha insegnato a pregare. Siamo strutturalmente poveri, ma ricchi di regali ricevuti, estremamente fortunati perché continuiamo a ricevere in gesti di amicizia, segni di affetto, cene tra amici.
Se ci fermiamo e vediamo quanto già abbiamo e continuiamo a ricevere, non possiamo che ringraziare e gustare già qui, ora, un po’ del regno di Dio. Allora anche la lavatrice che Chiara fa per me e i figli è un dono, la sua fedeltà alla nostra relazione è un regalo immenso, la sua presenza nella mia vita è una grazia, segno di questo regno di Dio nella mia vita… e tutto ciò viene donato a un poveraccio come me, che non può pretendere nulla perché le uniche cose che ha sono quelle precedentemente ricevute in dono. Che bello! Che gioia! Grazie a tutti voi perché mi avete dato un’occasione per ricordarmelo. Vi auguro di sentirvi poveri e felici proprietari del regno di Dio.
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