15 Febbraio 2025

La voce del pastore

I vangeli ci raccontano non solo ciò che Gesù diceva ma, in alcuni passaggi, anche «come» lo diceva. Per comprendere le sue parole, però, dobbiamo ascoltare davvero e non limitarci a «udire».
La voce del pastore

© CSA Images / Getty Images

«Penso ci sia differenza tra ascoltare e udire. Nel secondo caso, la voce di chi parla rimane in superficie, non se ne riconosce il timbro, né le inflessioni. L’ascolto invece è più profondo, dalla voce di chi parla si può capire il suo stato d’animo, la gioia, la stanchezza, la tristezza. Lo si può “vedere”. Ma, mi chiedo: come parlava Gesù?».
Lettera firmata

Udire è percepire dei suoni attraverso l’orecchio: un atto fisiologico. Ascoltare, invece, implica una partecipazione all’azione, per cui «presto orecchio», mi dispongo a fare spazio a quanto viene detto, c’è un coinvolgimento attivo. Mi pare molto interessante la domanda del lettore, che si interroga su come parlava Gesù: più che ai contenuti, fa riferimento al modo di esprimersi, alla sua voce, al suo tono. Partendo dai vangeli, possiamo trovare alcuni indizi: sappiamo che le parole di Gesù ci vengono riferite soprattutto nel loro contenuto, ma ci sono delle occasioni in cui si esplicita qualcosa sul suo modo di comunicare. In alcuni casi, ad esempio, si dice che parla o addirittura grida «a gran voce»: quando riporta in vita la fanciulla morta (Lc 8,54) o Lazzaro (Gv 11,43); quando esclama «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me» (Gv 7,37); infine, quando sulla croce si rivolge al Padre. Sono situazioni in cui la vita lotta con la morte, nelle quali Gesù si esprime con particolare intensità, sottolineando che il momento è cruciale, è decisivo.

Un’altra espressione indicativa riporta di una grande gioia: «Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo», quando rende lode a Dio dopo il ritorno dalla predicazione dei discepoli (cfr. Lc 10,21). In altre occasioni, la voce di Gesù si tinge di rimprovero o di indignazione (Mt 11,20; Mc 1,25; Mc 4,39; Mc 8,33; Lc 4,35), come nei confronti di Pietro, quando questi vuole che egli eviti la passione.

Tuttavia, un brano molto significativo lo troviamo nel capitolo 10 del vangelo di Giovanni (cfr. Gv 10,1-18.27). In esso, Gesù parla di sé come del buon pastore, e insiste sulla voce di questo pastore: le pecore ascoltano la sua voce, il pastore le chiama ciascuna per nome (v. 3) e lo seguono perché conoscono la sua voce (v. 4). Al contrario, non conoscono la voce degli estranei (v. 5) e non li seguono. Tutto questo suggerisce che Gesù parla in un modo che è riconoscibile, che attiva qualcosa in ciascuno: è una voce nota, familiare. E la prima parola che rivolge è anzitutto chiamare per nome: espressione del fatto che conosce chi sta chiamando e desidera vivere un incontro personale, una relazione unica con ciascuno.

Viene da chiederci: chi sono le pecore? Questa relazione è solo per alcuni prescelti? Gesù dice, più avanti nel testo: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (v. 16). In definitiva, ancora una volta ciò che fa la differenza è soprattutto ascoltare: chi ascolta (e non solo ode) quella voce, entra in relazione con lui.

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Data di aggiornamento: 15 Febbraio 2025
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