La diversità del Kerala
Questa volta è stato facile trovare le tracce di Sant’Antonio. Appare subito non appena si percorrono le grandi strade che attraversano da Nord a Sud lo stato del Kerala, il più meridionale dell’immenso continente indiano. I suoi santuari si affacciano direttamente sullo stradone percorso da un traffico inarrestabile. In alcuni tratti non distano più di due chilometri uno dall’altro. Antonio appare ovunque: nei villaggi della montagna, nelle piantagioni di cardamomo dei monti Ghati Occidentali, tra le palme e i bananeti della piana costiera, la sua immagine rassicura i marinai dei pescherecci che affrontano, ogni giorno, l’inquietudine dell’oceano. Fra Michael, provinciale dei Minori Conventuali del Sud dell’India e Sri Lanka, mi indica un bus pubblico: «Guarda». Sul lunotto posteriore c’è un’immagine di sant’Antonio e, poco più sotto, una scritta invoca la protezione di Lakshmi, moglie di Vishnu e divinità amata dell’induismo, a lei si deve ricchezza, fertilità, bellezza, prosperità. Sant’Antonio e Maria mi sono apparsi come un punto di contatto e di devozione di due religioni, cristianesimo e induismo, tra i quali, nella storia, non sono mancate tensioni e scontri, ma anche la ricerca di somiglianze e affinità.
Certo, questo è il Kerala. Un’India «diversa» dagli stereotipi dove spesso noi occidentali rinchiudiamo questa terra sterminata, lo stato più popoloso del mondo. Qui il cristianesimo è arrivato molto presto. Sì, credo che dobbiamo credere al racconto che ha come protagonista san Tommaso, l’apostolo che voleva «toccare» prima di convincersi della resurrezione: lasciò la Palestina e si incamminò verso Oriente. Arrivò in Kerala a metà del primo secolo dopo Cristo. E la sua predicazione mise le radici in una terra fertile. Era un cristianesimo orientale, una ritualità che proveniva dalla Mesopotamia e si saldò con tradizioni indiane: sono i cattolici siro-malabaresi. Malabar è questa costa occidentale del Sud dell’India. Qui, dai tempi della distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, erano già presenti comunità ebraiche fuggite dalla Palestina. Secoli più tardi, arrivò, con commerci sempre più importanti, anche l’Islam. Alla fine vi giunse anche san Francesco Saverio: aveva appena partecipato a Parigi, alla fondazione della Compagnia di Gesù e già fu inviato nelle Indie Orientali. Credo che rimase sorpreso nello scoprire che la gente del Kerala conoscesse già bene il cristianesimo. Chiesa latina e chiesa siro-malabarese hanno costruito una convivenza che dura tuttora.
Il Kerala è affollato di congregazioni cattoliche e di chiese cristiane. Sant’Antonio, amato dai portoghesi, si affiancò a san Tommaso e san Sebastiano. E, lentamente, divenne il santo prediletto dalla gente di questa costa, protettore dei pescatori, capace di intercedere con «il Dio delle Piccole Cose»: anche qui, se smarrisci qualcosa che per te è prezioso, ti rivolgi ad Antonio. Tutto questo in terra induista: secondo il censimento del 2011, gli induisti sono oltre la metà della popolazione del Kerala, i musulmani sono poco meno del 30% e i cattolici sono attorno al 18%. Percentuale ben più alta che nel resto dell’India, dove i cristiani superano di poco il 2%, mentre l’induismo è praticato dall’80% della sua popolazione. Qui, nel VII secolo ha vissuto uno dei filosofi induisti più importanti, Adi Shankara; qui, nel 2008, una suora delle francescane clarisse, suor Alfonsa, fu proclamata santa, la prima nata in India. I tre santi indiani provengono tutti dal Kerala.
Noi europei possiamo continuare a stupirci per l’eccezione-Kerala: nel 1957, questa regione fu la prima dove un partito comunista arrivò al governo grazie a una vittoria elettorale. Per oltre mezzo secolo, comunisti e Partito del Congresso si sono alternati al potere. Ancora oggi il governatore è un comunista che guida un governo di coalizione.
A Puntanchira, uno dei mille villaggi della piana costiera, mi fermo davanti alla chiesa di sant’Antonio. Ne ho visitate decine, nessuno sa dirmi quante sono. Ma qui, ad un incrocio, quasi una ritualità tradizionale, trovo una grande statua di Antonio di fronte al quale si inginocchia la mula del miracolo di Rimini, accanto sventola una bandiera rossa con un grande falce e martello, sull’altro lato della strada un piccolo «tabernacolo» induista. Poco più avanti il tempio induista. Dalla grande scalinata del Seminario Maggiore di Aluva ascolto, oltre la linea delle palme, arrivare il richiamo di un muezzin. Nella grande notte di Shiva, Maha Shivatri, i canti dei fedeli induisti arrivano leggeri fino alle finestre aperte dell’Ashram francescano di Angalamy.
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