Un bene da custodire
Con il mercoledì delle Ceneri inizia il tempo di Quaresima che, come abbiamo richiamato nell’editoriale di questo mese, è tempo di penitenza nel senso di conversione, tempo per riscoprire che l’amore di Dio per noi ci chiama e ci abilita ad amarci gli uni gli altri. Un cammino che coinvolge mente, cuore e azioni, che chiede un cambiamento di mentalità (tante volte siamo un po’ troppo centrati su noi stessi), una apertura verso l’altro che si concretizza in gesti semplici di accoglienza.
Ogni anno, nella liturgia del mercoledì delle Ceneri, ci viene proposto il brano del vangelo di Matteo in cui Gesù parla dell’elemosina, della preghiera e del digiuno (Mt 6,1-6.16-18): tre pratiche che da sempre la Chiesa ha promosso proprio per vivere al meglio il periodo della Quaresima. C’è un ritornello che si ripete nel testo: coloro che compiono queste opere per farsi vedere «hanno già ricevuto la loro ricompensa»; se invece le compi senza ostentazione, «il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Cosa c’è di sbagliato nel fatto che gli altri riconoscano il bene che stiamo compiendo, attraverso gesti che sono buoni (come preghiera, digiuno ed elemosina)? Ci può venire in aiuto san Francesco di Assisi, che riprende questo tema in una delle Ammonizioni; questi testi sono indicazioni spirituali, raccolte a partire dall’esperienza delle prime fraternità dei frati minori, che racchiudono una profonda sapienza. La XXI Ammonizione (Fonti Francescane 171), intitolata “Il religioso leggero e loquace”, recita così:
Beato il servo che, quando parla, non manifesta tutte le sue cose, con la speranza di una ricompensa, e non è veloce a parlare, ma sapientemente pondera di che parlare e come rispondere. Guai a quel religioso che non custodisce nel suo cuore i beni che il Signore gli mostra e non li manifesta agli altri nelle opere, ma piuttosto, con la speranza di una ricompensa, brama manifestarli agli uomini a parole. Questi riceve già la sua ricompensa e chi ascolta ne riporta poco frutto.
Il rischio che c’è nell’esporsi è anzitutto quello di non custodire i beni che il Signore dona, cioè mettere in piazza la personale relazione con il Signore. Immaginiamo di avere un amico con il quale condividiamo cose importanti della nostra vita e lo stesso fa lui con noi; quando ci troviamo con altri, può succedere che ci venga da raccontare di questa amicizia, e magari di rivelare qualcosa di personale, che andrebbe invece custodito. Perché lo facciamo? Perché vogliamo mostrare che noi sappiamo, che conosciamo qualcosa che altri non sanno, godiamo di una situazione che altri non vivono… e così rischiamo di perdere la relazione con l’amico, che si sentirà tradito. Ora, con il Signore, soprattutto nella preghiera, c’è uno spazio che è intimo e che chiede di essere coltivato e custodito, proprio come nell’amicizia: quando si svende al di fuori, la relazione non cresce davvero.
Concludiamo di nuovo con le parole di Francesco, il quale insiste ancora sul tema nell’Ammonizione XXVIII (Fonti Francescane 178), titolata “Il bene va nascosto perché non si perda”:
Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!